VENEZIA 63 – "Rob-B-Hood", di Benny Chan (Fuori Concorso)

Si verifica una magica alchimia con Benny Chan, fantastico ritrattista di danza del corpo e linee scenografiche inimagginabili, perché talvolta asfittiche, anguste, ingombranti. L'anima pulsante di Jackie Chan, trova la sua perfetta dimensione e collocazione, perché venata di tensione e preparazione al vortice.

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Benny Chan è tra i più apprezzati registi d'azione di Hong Kong e mostra probabilemnte il suo talento soprattutto quando gira con l'icona Jackie Chan. Dopo molta gavetta in tv, il regista si è affermato grazie anche a Johnnie To che lo ha scoperto e subito gli ha permesso di girare A Moment of Romance. È però con Big Bullet che si impone e Jackie Chan lo sceglie come cantore delle sue acrobazie, da Senza nome e senza regole a New Police Story. Questa volta, in Rob-B-Hood, l'attore deve fare da balia ad un bambino che lui stesso ha rapito per mano di un noto criminale della città. Ha bisogno di soldi e insieme al suo compare di avventure (interpretato da Michael Hui) decidono di portare avanti l'impresa, accantonando i propri problemi personali in famiglia. Come al solito è un turbinio di colpi di scena, di sfrenate accelerazioni e acrobazie mozzafiato. Perfetta macchina di sincronismi che lo sguardo non vuole perdere perché sempre combinate con l'ironia e il paradosso della fisica. Naturalemente, alle scorribande si alternano momenti di commedia sentimentale, il tutto a imbastire il prodotto che ti aspetti e probabilmenti pretendi. Jackie Chan, il ladro, è l'unica novità di un perfetto meccanismo che non tradisce. Il solito stupore è riscoprire Jackie Chan come vero o presunto regista dei suoi film, capace di dettare i tempi dell'azione e delle sue combinazioni globalizzanti, come scendere da un palazzo, saltellando sui condizionatori d'aria alle finestre e trovarsi scitto sul muro, a caratteri cubitali la pubblicità della Pepsi. Però si verifica una magica alchimia con Benny Chan, fantastico ritrattista di danza del corpo e linee scenografiche inimagginabili, perché talvolta asfittiche, anguste, ingombranti. L'anima pulsante di Jackie Chan, trova la sua perfetta dimensione e collocazione, perché ha gli slanci dell'impasto visivo e fisico: accumulo di tensione nel serrato gioco pulsionale dei corpi e scarti discontinui di statica preparazione al vortice. Ma il vero cinema, quello che pensi sia tutto nelle due ore confezionate, è dietro le quinte, dove assisti ai "ciak" tagliati, e sei rapito dalla furente sperimentazione del Kung Fu Movie, post-Bruce Lee, non più rabbia post-coloniale antioccidentale, ma perfetta integrazione "action".

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