"Ghost in the Shell 2 – L'attacco dei cyborg" di Mamoru Oshii

Oshii torna al manga di Masamune Shirow per costruire il suo universo cyberpunk. Il risultato è un film raffreddato da eccessive citazioni e notazioni tecniche, ma affascinante dal punto di vista visivo, in cui le problematiche fantascientifiche s'immergono in un'atmosfera noir e in cui il tratto ambisce a recuperare la concretezza del reale

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A ben due anni di distanza dalla partecipazione al Festival di Cannes, finalmente esce in Italia Ghost in the Shell 2, l'ultimo lavoro del maestro dell'animazione nipponica Mamoru Oshii. Un ritardo ancor più grave, se si considera che il precedente film di Oshii, Ghost in the Shell, risale al 1995. Undici anni d'attesa non sono pochi per i (numerosi) fans italiani. Tratto dall'ormai noto manga Kôkaku Kidôtai (Squadra Corazzata Antisommossa) di Shirow Masamune, uno dei maestri della nuova generazione, Ghost in the Shell è l'ennesima immersione anima e corpo (soprattutto corpo…) in un fantascientifico universo cyberpunk, in cui esseri umani, macchine e computer convivono e si compenetrano. Questo secondo episodio non ha più per protagonista l'avvenente maggiore Motoko Kusanagi, il cui ghost aleggia ancora da qualche parte nella rete (e nel film…), ma il suo fido braccio destro Batou, detective cyborg cupo e silenzioso. Al fianco di Togusa, umano a tutti gli effetti, Batou conduce, per conto della Nona Sezione Squadra Antisommossa, un'indagine sui misteriosi omicidi compiuti da ginoidi impazzite (gino-androidi, robot "femminili" costruiti a scopi sessuali), prodotte da una potente industria robotica. Complotti, prospettive terroristiche, nozioni tecniche ed informatiche a metà tra il reale e il fantastico, ibridazioni uomo-macchina, realtà virtuali, interrogativi filosofici…Il film di Oshii porta all'estreme conseguenze quel genere, che ha i suoi primi germi nel 2001 di Kubrick e passa per Robocop, sino alla canonizzazione di Tetsuo e alla fantascienza robotica cara all'animazione giapponese (Kyashan) e rivoluzionata proprio dal manga di Shirow e da Neon Genesis Evangelion di Hideaki Anno. Il risultato è la costruzione di un'affascinante universo, in cui i progressi tecnologici vanno di pari passo con la perdita della consapevolezza dell'anima e dei sentimenti e i confini tra umano e inumano si fanno labili, al punto che i cani possono essere più vicini alla perfezione di noi. Chi sono le vere macchine? Che spazio c'è per l'amore in un mondo che ha fatto della scienza il proprio dio? Temi non certo nuovissimi, ma trattati da Oshii in una girandola di citazioni, affermazioni e spiegazioni filosofiche, che, sebbene interessanti, finiscono per appesantire e raffreddare la trama. Ma resta il fatto che Ghost in the Shell 2 rappresenta un'esperienza visiva fuori dall'ordinario. Se il tratto di Shirow esalta la fisicità, la plasticità dei corpi, il lavoro dello staff di Oshii unisce ad un'atmosfera noir una magniloquenza nella descrizione degli ambienti futuristici che rimanda a Blade Runner e un uso dei colori e delle fonti di luce sbalorditivo, in una gamma di gradazioni che va  dal freddo ghiaccio di un obitorio all'inferno rosso sangue del cielo. E in effetti, riducendo al nocciolo, ci si trova di fronte all'ennesima rilettura del grande mito noir, della libertà e felicità negate, imbrigliate in un groviglio inesplicabile, che ora assume i contorni del caso, ora la spietatezza matematica di una ragione ulteriore. Qui l'anima non riesce più a farsi corpo e il corpo non è più capace di leggere l'anima. E l'uso combinato del 3D e dell'animazione tradizionale è la cifra visiva della ricerca estenuante di un'autenticità negata, del desiderio di superare l'impalpabile spazio bidimensionale per ritrovare la concretezza del reale.

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Titolo originale: Inosensu: Kôkaku Kidôtai


Regia: Mamoru Oshii


Distribuzione: Eagle Pictures


Durata: 100'


Origine: Giappone, 2004

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