"Time" di Kim Ki-duk

“Time” racconta di come fare per diventare fantasmi. E' un breviario, un vademecum, una guida corredata da meravigliose illustrazioni. Ma non solo. Ci sono anche le spiegazioni, parole, tante, tantissime parole.

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Quando capitò dalle parti di Cannes, in molti lo hanno visto come un film minore. Minore un bel niente invece. Perché L'Arco è andato a tagliare e a suturare, aspergendo e disinfettando. C'era il mare, l'amore impossibile, le parole trattenute a metà, gli sguardi di aria e fuoco. Già visto? Sì, Ki-duk ce lo aveva già mostrato, sta di fatto che nella sequenza finale la giovane protagonista veniva posseduta dallo spettro dell'anziano che l'amava. Ergo, invisibile vs visibile: non c'è partita, perché come insegna anche l'ultimo atto di Ferro 3 (ricordate lei abbraccia lui, l'altro bacia lei in una tirata fantasmatica da pelle d'oca) il fantasma vince alla stragrande con ko che nemmeno i vivi. Appunto. Ma dopo il fantasma, i silenzi assordanti e il contatto mancato, cosa rimane? Rimane il tempo dell'assenza, il ticchettio delle lancette sugli orologi, i minuti che corrono da un capo all'altro del giorno, consumando i corpi. Ecco, forse Time è davvero una di quelle pochissime opere degli ultimi tempi a parlare d'amore, facendolo davvero. Time abbonda d'amplessi. Che non sono quelli carnali e sudati, ma quelli disperatati e freddi come tavole di marmo di corpi che chiedono aiuto. Fare l'amore non significa più unirsi con l'altro, ma cercare una definizione di sé, un'immagine non più sfocata della propria identità. Centrare la vita, insomma. Possederla. E poi possedere il mondo, consumandosi in un abbraccio impossibile. Perché Time è, prima di ogni altra cosa, una grande riflessione sul tempo impossibile dell'amore. Che, appunto non ha tempo. Viene in mente la panchina illuminata dall'opacità sublime del Ming Liang di Che ora è laggiù, e il Leaud che guardava/sospirava/sognava con quegli occhi da pura essenza di un cinema che tornava d'incanto. D'altronde solo i vivi non tornano mai. I fantasmi non fanno altro. Ki-duk li ama alla follia e ne cattura la timida genesi. Perché, almeno all'inizio, i due protagonisti  vengono filmati nel loro attaccamento alla terra. Realismo al cardiopalma, baci rubati furtivamente, gelosia a fior di pelle. Ok, il corredo dell'amore giovanile è più o meno al completo, sereno e tranquillo. E' Ki-duk ad agitarsi, a spostarsi di continuo, a trascendere il reale con aperture improvvise verso qualcos'altro.

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Di che si tratta? Di un dramma, poco, ma sicuro. Un tragico ed esemplare dramma sulla zona d'ombra che corre tra un abbraccio e l'altro, dunque una messa in scena desiderosa di purificarsi nelle acque dell'invisibile. Se il mondo somiglia ad un grigio e asettico acquario dove rimanere intrappolati per sempre, il cinema di Ki-duk prova a rovesciarlo in terra. Fradiciando il pavimento con l'acqua, facendo morire i pesci per poi rianimarli/'risorgerli' in un altro luogo.


Time racconta di come fare per diventare fantasmi. E' un breviario, un vademecum, una guida corredata da meravigliose illustrazioni. Ma non solo. Ci sono anche le spiegazioni, parole, tante, tantissime parole. Nel cinema dell'autore coreano non si è mai parlato così tanto e così a lungo. Ci si confronta, ci si relaziona anche duramente sui propri sbagli, ci si ama. Di un amore finto, è chiaro. L'amore che amiamo tutti però. Quello del volto, quello del sembiante di cui ci si è innamorati, quello degli occhi. Poi si prova a cambiare, uscendo fuori di sé. In tutti i sensi. Ed ecco che il cinema rarefatto e ipnotico della prima parte inizia a stemperarsi nella liturgia senza pelle di un cinema senza più volto. Face-off. La protagonista si sottopone ad un intervento chirurgico in grado di donarle un nuovo aspetto. E il gioco è fatto. Face-off. Non c'è sostituzione che tenga. L'innamoramento è per i vivi. I fantasmi vanno oltre. E ricordano, ricordano, ricordano, non sanno/possono fare altro. Si può dare mèlo in presenza di un volto che non c'è più/che non è più lo stesso e di lacrime che non sanno più da dove uscire? Time risponde affermativamente. Perché il tempo chiude la ferita e asciuga il dolore. Ma se sei già un fantasma, sei anche oltre il tempo, il volto e la ferita. Sei cicatrice.

Titolo Originale: Id.


Regia: Kim Ki-duk


Interpreti: Sung Hyung-ah, Ha Jung-woo, Park Ji-yun, Kim Sung-min, Jung Hwan


Distribuzione: Mikado


Durata: 98'


Origine: Corea del Sud, 2006

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