"Centochiodi", di Ermanno Olmi

L'ultimo film di Ermanno Olmi è un'opera necessaria sul recupero della purezza dello sguardo, tanto semplice quanto sconvolgente. Film sulla religione che parla a tutti, indistintamente, per ribadire che prima di tutto viene l'amore per i nostri simili, e null'altro. Una lezione di cinema che assolutamente non può e non deve passare inosservata.

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Esiste ancora un cinema che può dirsi necessario? E' a questa domanda (e alla conseguente, affermativa risposta) che si pensa mentre ancora scorrono le immagini del film di Ermanno Olmi, Centochiodi. Opera ultima e terminale, ideale testamento di un regista che ha più volte dichiarato che questo sarebbe stato il suo addio al cinema di finzione, prima di rituffarsi nel documentario. Cinema necessario, dicevamo, perché riflette sulla contemporaneità da un punto di vista di tutto rispetto: Centochiodi è il film di un uomo (di un vecchio, oseremmo dire, nell'accezione più saggia e rispettosa del termine) che ha visto la vita in tutte le sue forme, e che ora ci lascia per l'ultima volta la sua testimonianza; film sulla religione che parla a tutti, indistintamente, ma anche opera sul recupero della purezza dello sguardo, di un cinema che sembra rimosso, nascosto, dimenticato.  La spiritualità di Olmi punta il dito contro qualsiasi dogma e  preconcetto, per ricordarci che spetta in primo luogo a noi saper guardare: e il suo è un film sulle piccolissime cose che, improvvisamente, ai nostri occhi divengono immense. Come stare in riva al fiume, ad esempio, o bere un bicchiere di vino insieme ad un'umanità semplice ma mai così bella e indispensabile. Tutte cose che non dovrebbero mai suonare come nuove, né al cinema né nella vita, ma che con il tempo abbiamo rimosso e accantonato. Ecco, in questa ottica Centochiodi è quanto di più vicino ci sia a Una storia vera di Lynch, perché entrambi ci regalano lo stupore di fronte alla elementarità delle cose: anche lo sguardo immobile e impassibile di Raz Degan, inaspettatamente, diviene un valore aggiunto, perché è lui il nostro tramite attraverso il film; il suo "Cristo" possiede la consapevolezza che nulla deve essere imposto in nome di una fede cieca, ma che l'amore verso gli uomini deve venire prima di tutto il resto. "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico", dice, e la sua è una testimonianza di sofferenza in un mondo nel quale non si riconosce ma per il quale non smette di lottare: è questo l'ultimo, grande insegnamento di Ermanno Olmi, che insegue ancora la ricerca di un Dio di pace, lontano dalle brutture che gli uomini hanno imposto ai propri simili. Il suo "professorino" (la definizione è dello stesso regista) guarda da lontano quello che siamo diventati, e ci fa paura; se inchioda i testi sacri sul pavimento della biblioteca è per impedire che loro, per primi, inchiodino noi. E' una lezione così semplice eppure così grande, che si inserisce in un contesto ben più ampio dei semplici e superficiali riferimenti che si potrebbero cogliere nei riguardi della Chiesa di Ratzinger: non è quindi un attacco alla religione, ma agli schematismi giustificati in nome di essa. Anche per questo motivo, quindi, lo ripetiamo: oggi, Centochiodi è necessario. Senza assumere mai toni predicatori, ma ribadendo che anche con il cinema si può passare il testimone alle nuove generazioni: un'opera che è davvero un oggetto fuori dal tempo, aliena dalle mode dei nostri giorni e per questo preziosissima: non tutti avranno il coraggio di ammetterlo, ma si tratta del film italiano più bello della stagione.

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Regia: Ermanno Olmi


Interpreti: Raz Degan, Luna Bendandi, Amina Syed, Michele Zattara, Franco Andreani


Distribuzione: Mikado


Durata: 92'


Origine: Italia, 2007

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