"I racconti di Terramare", di Goro Miyazaki

“I racconti di Terramare”, seppur lontano dalle vette dei capolavori dello Studio Ghibli, non delude. L'esordiente Goro Miyazaki prende a modello un'epopea fantasy che l'autrice avrebbe voluto affidare alle mani di papà Hayao e intrattiene senza annoiare. Pochi tentennamenti ma altrettanti sobbalzi emotivi, per un film tutto sommato di routine

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Sia subito chiaro: l'eredità artistica di Hayao Miyazaki non passa per le mani del figlio Goro, di cui semmai costituisce un'ispirazione di base da cui partire per esprimere un proprio discorso. Anche se ugualmente legato a pulsioni fantastico-oniriche e alla volontà di guardare con un unico afflato comune all'umanità in decadenza, I racconti di Terramare, tratto da un ciclo di romanzi fantasy di Ursula K. Le Guin, si incammina lentamente verso un discorso collettivo in cui il singolo è protagonista solo quando prende coscienza del suo ruolo di ingranaggio sociale. Scontrandosi con i limiti della «hybris», che vorrebbe travalicare in cerca del proprio ego tormentato, un giovane patricida di stirpe reale intraprende un viaggio durissimo, accompagnato da uno stregone saggio; finiranno per scontrarsi, coadiuvati nella battaglia da due donne tacciate di stregoneria, con l'incarnazione del male assoluto, colui che sta sconvolgendo gli equilibri terrestri.

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Miyazaki, architetto nella vita, coniuga il pragmatismo e la professionalità dei suoi studi con la volontà di cimentarsi con l'arte propriamente intesa. Ne deriva una combinazione ossimorica che a partire dal duetto tra animazione digitale, orchestrata dai veterani Akihiko Yamashita e Takeshi Inamura, e splendidi fondali interamente dipinti a mano caratterizza il romanzo di formazione di un giovane ribelle, inzialmente senza causa, pronto ad assurgere ad (anti)eroe fallibile e concreto. La cornice immaginaria di una terra inventata dal nulla è la riproposizione dell'abituale specchio di divagazioni (u)morali cui lo Studio Ghibli ama dare vita. Citazioni illustri – la melma nerastra dagli effetti di riflusso, oppiaceo per obnubilare le masse, pare la stessa di La città incantata (2001, di Hayao Miyazaki) – e trovate colorate e scenografiche si susseguono senza soluzione di continuità e spingono ad isolare i protagonisti fuori dal caos urbano cui solo apparentemente appartengono; motivo per cui la calca e la moltitudine sono raffigurate come confusione interiore, «spleen» esistenziale da cui prima fuggire e con il quale solo successivamente riconciliarsi. Senza qualche lungaggine di troppo, in special modo nel farraginoso raccordo narrativo centrale, saremmo oggi a celebrare un nuovo talento e non un valido imitatore di esercizi manieristici già vissuti e a ben altro livello decantati.


  


Titolo originale: Gedo Senki


Regia: Goro Miyazaki


Distribuzione: Lucky Red


Durata: 115'


Origine: Italia, 2006

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