CINEMA – 1a Festa Internazionale di Roma – "Alatriste", di Augustin Diaz Yanes (Première)

L'Impero Spagnolo del XVII secolo, opulento nei fasti della sua corte, miserabile nelle sue strade, potente e sanguinario è dipinto a tinte forti. Le immagini travolgono gli occhi come enormi quadri pittorici, rappresentazioni iconografiche di un periodo storico violento e passionale. Un grande spettacolo per gli occhi che non prende però allo

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Un film di cappa e spada, a tinte cupe, ma senza anima. Questo l'ultimo film presentato ieri alla Festa internazionale del cinema di Roma. Una grande rappresentazione pittorica di una Spagna Imperiale, del XVII secolo, in cui il comandante Diego Alatriste, si muove come soldato di mestiere, ereditando, da una promessa fatta ad un commilitone morte, il figli di quest'ultimo, promettendosi di non farne un soldato, seguendo la volontà del padre.

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Tornato a Madrid, Alatriste si trova a convivere con gli intrighi di una corte corrotta, in cui il Re Filippo IV, è totalmente manipolato dalle macchinazioni del duca Olivares. Qui si intrecciano le vite di Alatriste e del suo figlioccio Iòigo, con altre figure: l'antagonista assassino a pagamento Malatesta, l'amante/amata Maria de Castro, la rivale Anélica de Alquézar. Figure che si muovono sulla scena e che, seguendo vari linee a più livelli, muovono le fila della vita di Alatriste consegnandolo al suo destino.


Il film ha un indubbio valore nella rappresentazione pittorica degli ambienti, dei costumi, della vita descritta nel romanzo di Arturo Pérez-Reverte, L'Impero Spagnolo del XVII secolo, opulento nei fasti della sua corte, miserabile nelle sue strade, potente e sanguinario nelle sue battaglie, è dipinto a tinte forti. Le immagini che scorrono sullo schermo travolgono gli occhi come enormi quadri pittorici, rappresentazioni iconografiche di un periodo storico violento e passionale. Le scene sembrano magnifiche opere di Velasquez, a cui Diaz Yanes rimanda con continue citazioni dalla "Resa di Breda" a "il venditore d'acqua di Siviglia".


Ma se lo sforzo espressivo è tutto intento a catturare la passione di quel periodo storico dell'Impero Spagnolo, la sceneggiatura non gli rende giustizia, non coinvolge, non emoziona. La narrazione non riesce a creare empatia con Diego Alatriste, nè Viggo Mortensen, si discosta dal riproporci un Argon perso in un mondo che non gli appartiene.


L'intreccio di mosse politiche a cui il protagonista assiste inerte, guidato solo dal suo senso morale, rimane un piatto susseguirsi di espedienti di scrittura che non si distaccano da un manierismo espressivo. I personaggi restano privi di alcuna forza drammatica, e l'intreccio non coinvolge lo spettatore, che rimane a scorrere le immagini come in una immensa pinacoteca di splendidi quadri senza legame. Gli intrecci amorosi rimangono un esercizio di stile in versi. E se un po' di respiro ce lo concede la splendida Ariana Gil, di contro Enrico Lo Verso/Malatesta, non mostra alcuna emozione, parlando in una piatto spagnolo con accento siciliano che poco convince. Un grande spettacolo per gli occhi che non prende però allo stomaco.

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