CINEMA – 1a Festa Internazionale di Roma – "After This Our Exile", di Patrick Tam (Cinema 2006)

Il film, prima di catturare col suo incedere lineare e coi suoi sprazzi stilistici che fugano ogni dubbio, sembra quasi di stampo europeo, con le sue connotazioni descrittive e didascaliche che si trascinano lente ma inesorabili in una patina itterica, quasi irreale ma efficace nell'infettare ogni possibile momento di speranza

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Ventisette anni dal film d'esordio, The Sword e ben 17 dall'ultimo, My heart is that eternal rose. E' il ritorno di un gigante ulteriore del cinema asiatico, quel Patrick Tam noto, oltre che per le tracce lasciate nel solco del melò,  anche per lo stretto rapporto intessuto con Wong Kar-way, di cui è considerato il guru ma per il quale è stato umilmente (ed esemplarmente…) al servizio in cabina di montaggio. E come un personaggio di quei mondi, After This Our Exile (Fu Zi nella versione originale ovvero semplicemente Padre Figlio) si presenta come un film che lavora sul tempo, nel senso che si rapporta alla storiografia cinematografica e ai flussi contemporanei come costruendo una differenza ideale ancorata alla classicità. Se il cinema di Hong Kong mostra il passo (ma è poi così vero in senso assoluto e non un luogo comune in più?), sembra dirsi Tam, allora tanto vale ripartire dall'inizio e subire contaminazioni di ritorno. Il film, prima di catturare col suo incedere lineare e coi suoi sprazzi stilistici che fugano ogni dubbio (le scene di seduzione tra il protagonista e la ragazza della pensione, tanto per citarne una), sembra quasi di stampo europeo, con le sue connotazioni descrittive e didascaliche che si trascinano lente ma inesorabili, quasi a segnare una nuova impervia via al melò del nuovo millennio. Tutto passa dallo sguardo e dalla mimica incredibile di un bambino di cinque anni (Ng King-To), che è mille altri personaggi coevi della storia del cinema, è germaniaannozero come ilmonello, l'estatedikikujiro come iquattrocentocolpi e via citando. E' lui il vero esiliato, condannato suo malgrado ad una vita sospesa tra la rabbia e il possesso, il bisogno di normalità e quello del riconoscimento. Sospeso tra due figure più definite ma inaccettabili e che però non riesce a non amare. Un padre votato al fallimento, disperatamente teso ad evadere dai debiti di gioco. Una madre, che ha invano tentato di fermare, in fuga dalla famiglia verso una rigenerazione che non è morale (costruirà una nuova famiglia borghese sfasciandone un'altra) ma immateriale ed impalpabile come il denaro, regolatore del vivere intimo e sociale dei nostri giorni. E' quest'ultimo il motore del film, il deus ex machina che porta verso il baratro padre e figlio, alle prese con furti più o meno pianificati quanto maldestri, il sangue invisibile che si insinua nelle pieghe di ogni sequenza come raramente è stato dato vedere. Ma After This Our Exile è anche un film di silenzi, di violenze verbali e fisiche contrapposte a pianti profondi, di trattenimento emozionale, di illusori stravolgimenti. Di falsi ritorni ai luoghi di partenza. Di memoria liberata, di denuncia sotto traccia. Il tutto immerso in una patina itterica, quasi irreale ma efficace nell'infettare ogni possibile momento di speranza.         

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