TORINO 28 – "127 hours", di Danny Boyle (Festa Mobile)

james franco 127 hours danny boyle 
Danny Boyle, dopo i successi e le statuette, sembra ricominciare da zero. Con il suo instancabile 'remix' cinemafografico ci costringe ancora una volta a deviare improvvisamente dai binari quando ormai tutto appariva delineato.127 hours segna la prova di un cinema ancora capace di risollevarsi e di incidere.

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James Franco in 127 HOURS di Danny BoyleGiù in un crepaccio di un canyon. Buio e sangue. Sperduto nella solitudine primordiale del deserto dello Utah. Solo e con un braccio mezzo spappolato incastrato in una roccia. E' questo il destino di Aron Raslton (un fantastico James Franco) e nelle sue parole "Quel masso enorme era lì ad aspettarmi da sempre". troviamo  il confine di questa avventura al centro della terra, che altro non è se non un viaggio esistenziale dentro se stessi. Non quello di Into the Wild, mistico e intimista, qui il ventre della terra è quasi indifferente a quella piccola e banale vita di un giovane alpininista spaccone. Non c'è l'abbisso dell'osmosi tra uomo e natura, i milioni di anni che hanno levigato quelle pareti hanno reso il canyon freddo all'interno e infuocato fuori. Qui lo spirito di sopravvivenza è imprigionato dentro la testa del protagonista. 127 ore per decidere l'unica via d'uscita per salvare la pelle. 127 ore per espiare le proprie colpe e rivedere il (re)mix della sua breve vita. Ancora una volta 'flashback' e 'flashforward'. Come in The Millionaire. Avanti e indietro nel tempo.  Avanti e indietro sul nastro della piccola telecamerina che registra l'affannoso attaccamento alla vita di Aron.  Quello che lo spinge a valicare i limiti e per una pura casualità , un banale incidente,  si trasformerà nella sua epica redenzione. Boyle, dopo i successi e le statuette, sembra ricominciare da zero. Convinto del suo instancabile 'remix' cinemafografico, spinto sinesticamente al massimo fin dalle prime inquadrature. Il multiscreen e la colonna sonora, il deserto e la sua follia atavica. Aron Ralston /James Franco  è il corpo famelicamente sbranato da questo regista cannibale. Così come l'unica scelta a disposizione, salvifica e chirurgica, che lo ridarà alla civiltà.  Boyle è si regista furbo, scaltro, abile autore 'diskjockey' dei linguaggi, ma dobbiamo riconoscergli  ancora una volta la forza di deviare improvvisamente dai binari quando ormai tutto appariva delineato. 127 hours segna la prova di un cinema ancora capace di risollevarsi e di incidere.

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