"Il peggior tipo di speranza è la falsa speranza", intervista a Ken Loach

Premio come migliore sceneggiatura all'ultimo Festival di Cannes, "Sweet Sixteen" è l'ennesima pellicola sociale del combattivo Ken Loach. Nello sfarzoso salone del British Council di Roma abbiamo incontrato il regista britannico che al tempo dei suoi dolci sedici anni sognava di fare l'attore per rivoluzionare la scena del teatro inglese.

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Durante una sua precedente intervista ha dichiarato che difficilmente l'arte può cambiare il mondo. Potrebbe specificare il senso della sua affermazione? 

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Io non credo che si possa sintetizzare il mio pensiero rispetto a ciò in modo così semplicistico, è un discorso molto più delicato. Se l'arte è frutto dell'immaginazione e della creatività ha al suo interno sicuramente del potenziale per poter influenzare le persone in modo positivo. Al contrario non sono d'accordo sul fatto che un singolo film, una pièce od un articolo possano da soli cambiare lo stato delle cose. E' essenziale che a sostegno di tutto questo ci sia un sentire comune, un agire insieme che abbia il fine di cambiare ciò che ci sta intorno. Il mio film è un contributo ad una ruota che gira spinta da molte persone che credono in un mondo diverso.



Liam, il ragazzo protagonista, sembra la proiezione del Carlyle di Rif Raf più giovane ma senza la liberazione finale. 


Credo che tutte le cose negative che hanno cominciato a verificarsi una ventina di anni fa si siano oggi estremamente radicate producendo nelle persone un cinismo ed una disperazione sempre maggiori. Soprattutto il problema della disoccupazione ha assunto dei connotati spaventosi. Nel film sono presenti ben tre generazioni senza lavoro: il nonno, il patrigno e lo stesso Liam. I nostri politici, così come forse quelli italiani, continuano a ripetere che il tasso di disoccupazione nel Regno Unito non è così alto, mentre in realtà i giovani frequentano differenti corsi di formazione senza essere loro stessi i primi a credere nelle future opportunità lavorative. 



La scelta di ambientare ancora una volta un film in Scozia dopo My name is Joe è stata decisa dalla provenienza dello sceneggiatore Laverty o dalla zona particolarmente depressa in termini di benessere?



Nella scelta della location hanno influito entrambe le cose. Nell'atto creativo che si trova alla base di una pellicola ha grande importanza l'esattezza e la ricchezza della sceneggiatura, ed in questo Paul Laverty è stato di prezioso aiuto. Inoltre la Scozia ha sempre avuto una lunga tradizione di immigrazione, di lotte e di difficoltà, e nonostante un passato ed un presente difficoltoso le persone hanno ancora voglia di sorridere.

In Sweet Sixteen è desolante la mancanza di speranza propria di quelle giovani generazioni che rappresentano il futuro del paese.


Il peggior tipo di speranza è la falsa speranza. Prima di sperare bisogna avere una comprensione realistica di come stanno le cose. Mentre facevamo il casting per il film abbiamo incontrato molti giovani ed un ragazzo mi ha particolarmente colpito quando alla mia domanda che chiedeva cosa sperasse di fare una volta terminata la scuola ha risposto, guardandomi stupito, che la parola speranza non faceva assolutamente parte del suo vocabolario. Quello che potrebbe ridare speranza alle nuove generazioni sono investimenti pianificati di una politica realmente attenta alle necessità dei meno agiati, e che restituisca loro quella dignità ormai persa da troppo tempo. Tuttavia ritengo che nel film sia comunque presente una certa forma di speranza: quella che risiede nei buoni istinti dei ragazzi. Credo che il senso della storia sia nel fatto che questi ragazzi ancora non sono pienamente cinici ed induriti come magari lo saranno tra cinque anni.


La censura britannica ha vietato la visione del film per i minori di diciotto anni.


La censura è stata un illuminante esempio dell'ipocrisia inglese, quando nel mio paese i bambini hanno sempre davanti agli occhi la televisione che mostra ogni tipo di violenza. La motivazione addotta è stata per l'utilizzo della parola "cunt" ("testa di cazzo" in italiano, ndr.), aggettivo che si addice molto bene al nostro primo ministro. Questo problema è stato sollevato solo dalla censura inglese; nel resto dell'Europa il film è stato proiettato nelle sale senza problemi.


Nel film un aspetto molto duro è rappresentato dallo scollamento affettivo tra le generazioni: i più giovani chiedono quell'amore che i grandi non sanno dar loro. Anche l'affetto viene consumato dalle precaria situazione economica?


Quello che abbiamo riscontrato prima di iniziare le riprese è stato che questi ragazzi adducevano qualsiasi scusa per difendere i genitori, ed in particolare la madre, discolpandoli per la loro noncuranza ed il loro abbandono. Sweet Sixteen è la storia della presa di coscienza di Liam del non-amore da parte di quella madre che vorrebbe tanto essere ciò che il figlio desidera. Benché credo che non sia automaticamente consequenziale che le difficoltà economiche dividono o lacerano le famiglie, sono sicuro che hanno una qualche incidenza nei rapporti interpersonali.


Anche lei, come milioni di persone, il 15 febbraio era in piazza a gridare il suo no alla guerra?


Per la Gran Bretagna è stato un evento senza precedenti e il fatto che in così tanti siamo scesi per le strade mostra in modo chiaro come la gente sia contro questa guerra. Una guerra che è illegale, immorale e sporca perché non è stata provocata, quindi bisogna fare in modo che i guerrafondai paghino la loro politica aggressiva. Davanti ai miei occhi i politici hanno perduto qualsiasi credibilità e non è giusto che continuino a governarci. I movimenti contro la guerra e contro la globalizzazione stanno portando in strada sempre più persone e penso che sia fondamentale che le opposizioni riescano ad unire le voci diverse espresse in questi movimenti: chi combatte il potere delle multinazionali o la privatizzazione, chi rivendica una diversa politica sociale, chi lotta per l'ambiente e chi chiede un salario più giusto.


 

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