BERLINALE 57 – "Letters From Iwo Jima", di Clint Eastwood (Fuori Concorso)

Dopo Flags Of Our Fathers, Letters From Iwo Jima è la reincarnazione dell'umanità nella figura del nemico, la restituzione di un volto, un nome, una voce ai soldati che si sono odiati, combattuti, dispersi sul fronte

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Scavalcamento di campo. Atto proibito, funzione dello sguardo libero. Letters From Iwo Jima è esattamente questo, uno scavalcamento di campo, il passo avanti in direzione della prospettiva opposta, la necessità di guardare con gli occhi dell'altro. Tutto sommato una cosa semplice, eppure ci voleva un grande come Clint Eastwood per farla: dopo Flags Of Our Fathers, il dittico si completa con Letters From Iwo Jima, 4 Nominations agli Oscar, fuori concorso alla Berlinale 57. Dalle bandiere alle lettere, dunque, dai simboli alle parole. Lo scenario è sempre quello di Iwo Jima, del Monte Suribachi, ma il senso dell'operazione slitta dalla falsificazione mitologica alla realtà dell'umanità.  Flags era un film sulla menzogna dei simboli, mentre Letters è un film sulla verità della vita. Entrambi sono film sul coraggio di un'umanità che resiste nel segno di quella sofferenza irredenta, di quel sordo dolore, che è la cifra della verità. A fronte dello smantellamento dell'iconografia bellico-vittoriale americana incarnata nel mito falsificato di quella bandiera issata dai soldati statunitensi sul Monte Suribachi, Letters From Iwo Jima è la reincarnazione dell'umanità nella figura del nemico, la restituzione di un volto, un nome, una voce (il film è interamente recitato in giapponese, come noto) ai soldati che si sono odiati, combattuti, dispersi sul fronte.

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Il punto focale sono le parole, ovvero il dire: al di là delle esplosioni, dei fortilizi, delle armi, delle buche in cui nascondersi, Eastwood restituisce il senso alle parole, le uniche in grado di rimettere in scena l'umanità al di là dei gesti, dei simboli, delle posizioni. Questo è un film semplice e sublime, il cui portato è interamente da ascrivere alla mitopoiesi della dimensione umana. Un film che restituisce spazio all'immaginario umano di guerra al di là dei simboli e delle posizioni. Il posizionamento drammaturgico si struttura apparentemente nella corale, ma in realtà le figure emergono con naturale imponenza dalla loro destituzione iconica. A iniziare dal generale Kuribayashi (Ken Watanabe), osteggiato dai suoi stessi ufficiali, e dal barone cavallerizzo Nishi, sulla esperienza in America dei quali ruota l'inversione di prospettiva dei loro stessi soldati. Letters From Iwo Jima è il film della specularità, dello sguardo di ritorno, laddove Flags Of Our Fathers era il film dell'imposizione di un punto di vista univoco, della creazione del mito basato sulla falsificazione della realtà. Letters è invece un film sulla rifondazione della realtà (umana) rimossa dal mito (disumano) imposto dalla guerra. Un film di pietà e coraggio, dove lo sguardo si fissa negli occhi dell'altro e non si stacca mai, nemmeno di fronte alla morte. Non c'è coraggio e non c'è codardia, non c'è eroismo né fuga. Clint disperde ogni azione nel suo valore semplicemente umano e fa Cinema con la naturalezza di chi sente la vita e la capisce sino in fondo.

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