BERLINALE 57 – "When a Man Falls in the Forest", di Ryan Eslinger (Concorso)

Sharon Stone produce e interpreta il secondo film di un talentuoso giovane regista statunitense. Ne esce un ritratto in pur stile Sundance, con l'amarezza della vita che trionfa e una voglia di scappare via in sogno (e magari ammazzare tutti…) che regna sovrana…

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La vita di quattro sfortunati eroi, tre uomini ed una donna, e' al centro della seconda pellicola del venticinquenne regista statunitense Ryan Eslinger, considerato uno dei registi indipendenti piu' importanti d'America. Presentato in Concorso alla 57. Berlinale e accolto da un tiepido applauso alla fine della proiezione stampa, "When a Man Falls in the Forest" e' sembrato piu' che ogni altra cosa l'ennesimo "prodotto" targato Sundance, con tutti i pregi e i difetti connessi al marchio, ovviamente.

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Il che significa, riducendo tutto ai minimi termini, che nel film vi e' un'accurata e maniacale cura nella sceneggiatura, vero e proprio film nel film che addirittura supera in importanza la messa in scena, ed una altrettanto maniacale cura nella interpretazione attoriale. A uscirne decisamente sconfitta e' ovviamente la regia propriamente detta: manca infatti un uso consapevole e funzionale della macchina cinema, senza un adeguata sintassi cinematografica che corrobori e sviluppi gli scenari sapientemente descritti dalla sceneggiatura, la quale e' ottima come si conviene in questi casi.


Infatti, di questa pellicola colpisce proprio la storia, una storia sfaldata e sfrangiata proprio come la realta' in cui viviamo, dove gli appigli nel momento del bisogno si staccano dal muro come un vecchio chiodo. Cosa rimane, allora, ad un gruppetto di 40/50 enni quando si vedono costretti per forza di cose a tirare le somme delle loro vite, dopo che avevano rimandato questo momento per una vita intera. Ecco perche' l'epopea di Karen e di suo marito Gary, di Travis e di Bill appare proprio come una moderna ballata carnascialesca, con la morte che sta li' a guardare in attesa di affilare la fredda falce: quattro vite in sospesso che si consumano pian piano, alcune vicendevolmente come nel caso della coppia Gary/Karen, altre per moto spontaneo, come per seguire un primordiale istinto di morte. Tutti, per dirla alla Moretti, possono dire "Siamo invecchiati, siamo inaciditi": ed e' proprio la vecchiaia che avanza a tenere in scacco i quattro, ostaggi dei loro incubi, passati e presenti, dai quali non riescono o non vogliono uscire.


Solo compiendo un atto di "fede", intesa non nell'accezione religiosa ma in quella molto piu' laica e quotidiana del credere in un cambiamento, si puo' avere una via di fuga, o almeno si puo' toccare con mano il sogno di una vita. Questa strada, pero', non e' accessibile a tutti: con quello che potrebbe venir erroneamente definito come l'ennesimo attacco all'istituzione matrimoniale (e cosa ci sia ormai da attaccare in una istituzione ormai talmente ridotta ad un colabrodo come quella matrimoniale,  questo ci sfugge…), Eslinger rifiuta alla coppia sposata la salvezza che invece offre agli altri due personaggi. Ma, nell'ultimo atto da melo' con cui il regista chiude la sua opera, pare davvero non esserci spazio per ideologie o messaggi: sembra essere tutto li', sulla superficie dello schermo, senza nulla da svelare.


C'e' solo spazio per la nuda realta', quella che ci circonda tutti i giorni…

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