CATTIVE LETTURE – Alice Sebold VS Peter Jackson

Amabili resti, lovely bones
Quello della Sebold è un libro sul tempo, che non crede alla sua capacità guaritrice in quanto tale, o non in termini di ampiezza, quantità d'anni e cicatrizzazione delle ferite, ma ne riconosce il valore iniziatico e stupefacente, la portata imprevedibile. E il suo imperativo: tutto o niente

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Il ricordo è una voce distante che chiede allegramente:
«Che fotografi, amore?».
La risposta di Susie, vorace adolescente, che ci allarma di più sulla scarsa dose di tempo a sua disposizione, è l'unica che sintetizza il modo in cui dovremmo osare di interpretare la realtà:
«TUTTO».

Amabili resti. Vascelli nelle bottiglieAlice Sebold dice che in un certo senso, guarire è possibile a patto di credere di avere tutto il tempo del mondo. Prenderselo. Amabili resti è un libro sul tempo, che non crede alla sua capacità guaritrice in quanto tale, o non in termini di ampiezza, quantità d'anni e cicatrizzazione delle ferite, ma ne riconosce il valore iniziatico e stupefacente, la portata imprevedibile. E il suo imperativo: tutto o niente. Attaccata da quello stesso tempo che dovrebbe acquietare e condurre a rassegnazione, la famiglia si disgrega, la sua chimica divorata da reazioni inaspettate.

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Peter Jackson ha amato il libro, questo è certo. Sceglie la via più personale fin da subito, e meno facile, e al tempo stesso quella che fa di un intrico di carta e artigianato una cosa bella, come un vascello nella bottiglia: sceglie di aprire il film Amabili resti con un videogame di corsa su strada, con la guida per salvare il fratellino – una scena di paura accelerata che rappresenta l'essenza dell'incubo da sabato sera per ogni genitore e che porta già tutta l'attenzione sulla sua famiglia di Susie – e rinuncia all'annuncio spiazzante “sono già morta”, che è il primo grande espediente del libro e inaugura lo splendido tono spietato, spietatamente dolce e piano e fiducioso di tutta la storia.

Stanley Tucci nel film inventa un Mr. Harvey esasperato, geniale a tratti, col suo ripetere la formula “bellino”, tentando di scimmiottare il linguaggio kawaii delle ragazzine. Candele riflesse nei suoi occhiali magici, e anche il rifugio-bunker riluce come un Giardino Segreto: aperto a mezzo, allettante. Sembra uno scrigno magico. Guardare nella sua casa delle bambole, come il detective che ne osserva i particolari, una scena che riecheggia le avventure del cavaliere immaginario nel castello di sabbia di Creature del Cielo, è come guardare nel suo cuore buio.

Anni settanta fiduciosi, sfuggenti e colorati. Nonne diMark Wahlberg e Stanley Tucci - Amabili resti spuma di lavatrice e di saggezza amara e libertina che mettono a soqquadro per riparare l'irreparabile (ottima Susan Sarandon). Nel libro, Mr. Harvey è alquanto sottotono, cerimonioso killer della porta accanto, tremendamente senza volto, fuori fuoco; ma anche il film, coprendo il suo volto col roseto, rendendolo imprendibile infine, impossibile da catturare anche per l'obiettivo di una macchina fotografica lieta e impazzita, riesce a cogliere la sua invisibilità impiegatizia.

Solo partecipando in prima persona al processo distruttivo della scheggia impazzita Mr. Harvey, solo costruendo per un attimo il tepee della morte, la casa indiana, la tomba esotica di fascine per un'altra bambina, il padre di Susie potrà mettere a fuoco la faccia dell'assassino: l'altra faccia della moneta, come il Chicurg di Non è un paese per vecchi. E in questo scontro diretto, in questo match di boxe in cui portare sul ring il proprio dolore, si colloca il momento dell'offerta di Susie al padre: un fiore sanguinante, il proprio cuore di piccola morta vivente, simbolo attraverso cui passa la comprensione dell'accaduto. Ecco un momento in cui le musiche di Brian Eno fanno inclinare bruscamente il film verso la commozione e la poesia e lontanissimo dalla new age; e un momento in cui si materializza sullo schermo quella che era l'obiettivo della Sebold al momento di scrivere il suo libro: «tenere la speranza e l'inferno nel palmo della mia mano»*

Il granturco, leitmotiv dell'horror, elemento naturale, segno gradito a Shamalayan conoscitore di mondi e paure infantili, è il contesto, non solo dello stupro e dello smembramento, ma anche e soprattutto della lucida follia del padre di Susie (Mark Walhberg) guidato dall'istinto e dal dolore.Mark Wahlberg in Amabili Resti Il momento in cui afferra la mazza da baseball, nella stanza addormentata tra i fiati caldi dei figli rimasti, vale da solo tutto il film, e fa perdonare le licenze rispetto al libro, in cui la sua ossessione lo porterà ancora più lontano, in un luogo in cui la moglie non torna, non lo raggiunge, se non per spiarlo incatenato a un letto di ospedale. La violenza di Mr. Harvey – in fondo, uno qualsiasi – viene raccontata tutta nella ripetizione e nell'ossessività con cui sposta i piccoli oggetti prima allettanti, poi inquietanti che ha raccolto nel bunker-ammazzatoio, e Jackson sceglie di non mostrarla in primo piano. Libro coraggioso che fa a pezzi la solita retorica del corpo femminile violato, quello della Sebold, che riesce a seminare queste briciole di ambiguità, di umana contraddizione nel ritratto dei vivi e dei non ancora dimenticati, per tutto il romanzo, perfino nella fase ad alto tasso drammatico dello stupro stesso: «come mi sentivo viva, e mi parve la cosa più brutta del mondo» racconta la Susie non ancora dimenticata, non ancora dimentica di se stessa, e sembra quasi di intravedere l'orrore di non poter provare neppure più la sensazione più brutta del mondo.

Ma non è meno truce, nel film, dopo la sequenza dell'anima che fugge, il momento in cui Susie letteralmente entra nell'anticamera della sua morte violenta, vede il suo assassino nella vasca da bagno sporca di sangue e fango, le sue stesse scarpe inzaccherate di fango sporcano il pavimento: solo allora si rende contoSaoirse Ronan in Amabili Resti di ciò che le è accaduto, e urla, dissolvendosi, sciogliendosi letteralmente, solo nell'attimo in cui comprende. Si fa a meno, in pellicola, della narrazione in prima persona, altro espediente importante del libro. Ma sarebbe forse risultata stucchevole, troppo complice, mentre nella veste di parola riesce a risuonare a lungo come un'eco nella testa di chi legge.

Nel film il padre di Susie ringrazia il detective di essere stato tanto vicino a lui e anche ad Abigail (Rachel Weisz) con un breve abbraccio troppo poco impulsivo, quasi a lanciare un indizio al lettore del libro, ben consapevole che tra le pagine Susie, con adulto senso di pietà, ha assistito anche passo per passo all'oblio della bellissima madre, perduta nella clemenza del tradimento, nell'oblio del sesso, tra le braccia del detective: uno qualsiasi, ma in fondo uno che in un modo diverso da lei, non può, letteralmente non può anche volendo restare indifferente al suo lutto, perchè coinvolto in indagini di natura poliziesca che toccano corde più intime di un insieme di piste, sopralluoghi e interrogatori.

Forse è un bene che Jackson abbia tralasciato questa storia: nel film, sarebbe bastato così poco a trasformare una vicenda tutta concentrata sul perdono nel suo senso più alto e perfino egoistico del termine (quando moriamo, perdoniamo agli altri di essere vivi?) in un clichè di adulterio coniugale. Era difficile rendere l'assenza di giudizio e il doloroso ardore con cui la ragazzina morta osserva i movimenti di chi le è sopravvissuto: uno sguardo capace di Saoirse Ronan in Amabili Restisorprendersi, percorso sottopelle da una scheggia di tenera invidia verso chi può ancora sentirsi almeno vulnerabile, terrorizzato, e qualche volta confortato.

Anche il momento in cui Susie e la sua compagna improvvisata osservano il primo bacio della sorella minore Lindsay (Rose McIver) nel libro è un capolavoro di poesia, in cui convivono l'affetto verso la sorella – tra le pagine molto presente, e una specie di testimone, atleta per dolore, della morte della maggiore – e un sottile dolore per non poter essere coinvolta se non da spettatrice nel girone infernale dell'amore e del dolore del mondo; nel film, è un miscuglio sottolineato diversamente, ma non sminuito, da una nota di quella ironia di cui Peter Jackson non riesce a fare a meno: la piccola orientale uccisa, la compagna di Susie, divora un sacchetto di pop corn, perchè un attimo di contatto reale, il bacio, è un cinema, anzi è Il Cinema, il sogno del Cinema, e lo spettacolo per eccellenza.

Peraltro, il bacio mancato di Susie è ancora più crudele che nel libro, perchè a saltare è un preciso appuntamento ricevuto da un ragazzo, la promessa del domani, quando tutto sembra certo e l'unico impedimento che può sorgere è un compito in più da finire o un'innocente punizione. Inutile rimproverare a Peter Jackson di aver ridotto la figura della madre indiana di Ray Singh a un turbinio di sari sullo sfondo, in un incontro al centro commerciale. Impossibile dipingerla, se non aggiungendo ore alla pellicola, nelle sue sfaccettature: la donna altera, che fuma malinconicamente sul retro delle feste, bellissima e per sempre reietta, affiora nel libro senza un vero e proprio ruolo, se non quello di ricordare a momenti alterni al padre e alla madre di Susie le piccole omissioni, le paure. Rachel Weisz in Amabili Resti

Questa donna bella che si indovina sola, a piedi nudi in una casa non del tutto sua, è per il padre di Susie una visione della propria inadeguatezza, una sacerdotessa che gli ricorda il dolore che non potrà mai seppellire, e un esemplare di madre camaleontico e misterioso che allude con la sua sola presenza al mistero seducente e triste che è diventata la sua stessa moglie, un'altra donna bella e altera che lui sente improvvisamente inconoscibile, impossibile da comprendere. Mai più. Nevermore. Nel libro Abigail, amatissima, occhi di oceano, madre colta solo da uno scatto ingenuo e casuale della macchina fotografica di sua figlia, torna al suo capezzale, mentre lui è in ospedale mezzo morto, ma soprattutto mezzo folle, reso pazzo dall'incapacità di rassegnazione, e nulla garantisce che resterà. Il suo timido ritorno non è l'abbraccio del ritrovarsi, e ancora in ospedale le uniche braccia in cui può ancora rifugiarsi sono quelle sane, estranee e incolpevoli solo per il fatto di essere estranee, del poliziotto (Michael Imperioli). Non è giusto? Nulla è giusto, sembra suggerire la Sebold; ma in mezzo a tanta ingiustizia crepitano strane, imprevedibili relazioni, che non avevano nulla a che fare con la vita, eppure che la morte costruisce con scacchi invisibili. Nel film l'irrequietezza di Abigail, capace tanto di lavorare a maglia buffi cappelli con campanellini quanto di scomparire dentro i suoi occhi oceanici per appartarsi dalla sua famiglia, è mostrata appena, forse solo nel momento in cui spia attraverso il finestrino dal taxi che la porta via, espressione di indefinibile mestizia, di un dover essere più complicato del semplice abbandono.

Anche il rapporto tra Ruth (Carolyn Dando) outsider scolastica e medium destinata, e colui che era solo un bel ragazzo indiano (Reece Ritchie) un eroe dalle ciglia lunghe che poi diviene definitivamente Il Moro, prigioniero di se stesso, prigioniero della visione di Susie non dimenticata – principe da fotoromanzo condannato a vivere nel ricordo di un'interruzione – viene soltanto accennato nel film, come una specie di comunanza nella poesia. Nel libro, le tinte ambigue di questo rapporto sono esaltate: i due fanno l'amore spesso pensando a Susie, ovvero a quello che sarebbe potuta diventare; sembra quasi che si siano legati solo per celebrare meglio il suo ricordo in delay infinito. Eppure non c'è niente di orribile in tutto questo; come non c'è niente di malsano nelle improvvise coalizioni spontanee di due sconosciuti che in treno, per caso, parlano fitto per ore, indovinando senza dirselo che stanno vivendo una perdita simile.

Peter Jackson e Saoirse Ronan  - photo by Annie LeibovitzÈ vero, la distanza tra film e libro qui si avverte sensibilmente. Nel libro “l'attimo in cui Susie cadde sulla terra” si trasforma in una caduta quasi fisicamente dolorosa, un botto brutale, e la sua provvisoria incarnazione nel corpo di Ruth per raggiungere l'amato non ha nulla di allegorico. Anzi si trasforma in un vero rapporto sessuale, in cui Susie dà alla vita un addio disperato prendendo in prestito il corpo di un'altra, proprio come la ricerca di obnubilamento di sua madre Abigail, che prende per un istante in prestito il corpo di Abigail per scopare, abbandonando il corpo della madre e moglie devota che invece soffre in un lutto indigeribile, a pochi metri da un padre e marito altrettanto storpiato dal dolore. Qualcuno nel cinema in cui vedevo il film ha emesso qualche risatina durante questa scena, anche se nel film è diventata un semplice bacio; proprio per questo mi è sembrata funzionale, e il suo scopo non di edulcorare questo momento. Cosa sarebbe diventato, sullo schermo, l'immagine in parole di uno spirito non ancora morto che crolla rumorosamente nel corpo di una viva per rubare il suo ultimo attimo di carne? Come renderlo? Già in questo modo, sono fioccate le allusioni a film come Ghost e Aldilà dei sogni, ma Jackson ha tentato come ha potuto di tenersi alquanto lontano dai dualismi drastici di questi film: corpo e anima, carne e metafisica. Nel film il Cielo ha una metratura imperfetta, è vero, ma se non convince del tutto nei colori pastello degli effetti speciali, invece inizia come una magnifica rappresentazione di impotenza in un mondo in cui vivi e morti non riescono a interagire, in un quartiere desolato da film noir, con un padre disperato che mostra foto, un centro commerciale che scolora: ok i campi da empireo, ma si tratta pur sempre del mondo. L'idea che una quattordicenne può farsi dell'aldilà, anzi, di un "in-between", come racconta Jackson. Dove però diventa definitivamente impossibile toccarsi, raggiungersi. Jackson rispetta il prezioso assunto del libro per cui anche per Susie lo sforzo è tremendo: in fondo non riesce mai a manifestarsi, nemmeno per consolare, come vorrebbe, i suoi genitori. La sua onniscienza non riguarda il destino degli umani, ma le paure e le speranze più intime dei suoi familiari.

Non Ghost e Aldilà dei sogni, allora, ma piuttosto “La vita di Susie senza Susie”. La mia vita senza me, non tanto il film quanto anche solo il bellissimo titolo del film di Isabel Coixet. Come in quella storia Sarah Polley, condannata da un male terminale, opera lievemente, quasi con leggerezza, nel mondo che la circonda per prendersi cura di quelli che saranno i suoi amabili resti, nel film di Jackson Susie, che non ha potuto farlo non solo a causa della morte violenta e imprevista, ma anche, sottilmente, della sua legittima immaturità di teenager, tenta di ricostruire e di riassegnare un senso, pezzo per pezzo, al mondo imperfetto e dolorante che succederà per sempre alla sua scomparsa.

Tre immagini, soprattutto, sono tutte di Jackson, e affascinanti: le caravelle che si spezzano sulla riva, la casa che va in pezzi, legno marcio, e la discarica che inghiotte resti e ricordi. Ma non la famiglia Salmon, o gli amabili resti di ciò che è diventata dopo la tragedia.

Nel suo intervento*contenuto in America Oggi, la raccolta di Minimum fax dei 9 racconti e della poesia di Raymond Carver portati Alice Sebold sullo schermo da Robert Altman, Francesco Piccolo fa uno splendido parallelo tra l'oblio made in Lacuna Inc. del film di Gondry e il processo di perdita che deve subire un film tratto da un'opera letteraria. Descrive perfettamente le sparizioni necessarie, dovute alla specificità di una scrittura, quelle immagini che bastano a sé stesse in modo tale che paradossalmente proprio il cinema, fatto di immagini, non deve tentare di riprodurre così come sono. Ma «proprio come in Se mi lasci ti cancello, quando un film è riuscito (quando un amore è vero), alla fine lo spettatore non sente la tristezza delle sparizioni, ma una sorta di fiducia definitiva e dimostrata verso la qualità dell'opera. Quindi, così deve fare lo scrittore: è necessario che sparisca, perchè poi ricomparirà – in altre sembianze, cioè come un fantasma di cui si sentirà la presenza»].

Forse l'unico istante in cui Jackson, forse con le sue collaboratrici Fran e Philippa, davvero si macchia di una colpa imperdonabile, è nello script. Nel libro, intenzionalmente, non viene mai menzionato il paradiso; e questo è il fulcro stesso del libro, da cui l'espediente di chiamare le due dimensioni semplicemente il Cielo e la Terra, con le maiuscole grandi, con un linguaggio che ricorda solo le simbologie primitive, forse i graffiti dei primi uomini, e non certo le contrapposizioni di natura teologica. Come raccontava lei stessa qualche anno fa, la Sebold ha evitato come la peste qualunque tipo di riferimento a un “heaven” fatto di arpe e nuvolette.

Amabili restiA peggiorare le cose probabilmente ha contribuito il doppiaggio, anche stavolta fatale: non solo la voce di Susie, in originale una Saoirse Ronan bravissima e davvero misurata, in italiano è un falsetto piuttosto stridulo (le adolescenti sono tutte sceme, sembrano ritenere gli italiani – del resto anche in Tideland di Gilliam la prova della incredibile Jodelle Ferland veniva messa a dura prova dal melenso pigolare di Tosawi NarhonJoia Piovani Zoia, abituata a prestare la voce ai Pokemon e all'orsetta di Maple Town) ma nel momento fatale, nel climax dell'incontro con le altre piccole vittime, una di loro quasi moralisticamente ricorda a Susie che è ovvio che tutto intorno sia così splendido, perchè «è il paradiso». Nella versione inglese, per fortuna, una di loro si limita a gridare gioiosamente: questo è il paradiso! Come una bambina esploderebbe facilmente di fronte a una distesa verdeggiante piena di pony, o un luna park.

«Mi piacerebbe dirvi che qui è bellissimo, e che anche voi un giorno sarete qui, salvi per sempre. Ma questo Cielo non ha niente a che fare con la salvezza così come, nella sua clemenza, non ha niente a che fare con la nuda e cruda realtà. Qui ci divertiamo». (l'epilogo, a pagina 341).

I morti sono l'ossigeno che respiriamo, dice la Sebold: Peter Jackson sul set di Amabili Restie questo non ha niente a che fare con lo spiritismo da quattro soldi (forse, più con la biologia, visto che la materia che circola per l'universo si ricicla). I vivi, presenti, devono fare i conti con un mondo che impone loro d'essere presenti, anche quando vorrebbero letteralmente scomparire nel dolore. Le loro vite non sono a priori né belle, né brutte, né per sempre infelici, né più sagge e felici. Il ghiacciolo che si stacca dall'albero, che nel film di Jackson allude un poco troppo, colpevolmente, a una qualche punizione, a una giustizia superiore, nel libro è un caso fortuito, e la vera morte dell'assassino impunito fino alla fine è un crack dell'istante in cui viene scacciato da una ragazzina meno fiduciosa delle altre. A prendere le redini sono i bambini, i piccoli rimasti; saranno loro a consolare meglio gli adulti spezzati. Non c'è morale da trarre se non l'osservazione degli incontri incredibili, dei legami anche esili o pagati a caro prezzo, che si scatenano nella contraddizione dei vivi che spiano il vuoto lasciato dai morti, dei morti che non cedono alla morte spiando il sonno dei vivi. Questi sono gli amabili resti, cresciuti attorno alla sua assenza.

 

* Alice Sebold Interview,  http://www.panmacmillan.com/interviews/displayPage.asp?PageID=3335 

* Ciò che deve sparire al cinema, di Francesco Piccolo, in America Oggi, Raymond Carver, Minimum Fax, Roma, 2009Mark Walhberg in Amabili Resti

 

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