"Rush Hour – Missione Parigi", di Brett Ratner

Giunte al terzo capitolo le avventure dei due detective Lee (J. Chan) e Carter (C. Tucker) iniziano a segnare il passo e allo stesso tempo a rilanciare il marchio di fabbrica della serie con insistente violenza. E’ come se il tempo, le citazioni, la medietà, l’ingegnosità commerciale rivendicassero ancora una volta un’esistenza eterna e invincibile – a tratti anche disarmante e antipatica, ma clamorosamente limpida

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rush hourGiunte al terzo capitolo le avventure dei due detective Lee (J. Chan) e Carter (C. Tucker) iniziano a segnare il passo e allo stesso tempo a rilanciare il marchio di fabbrica della serie con insistente violenza. Stavolta i due colleghi amici devono vedersela con la criminalità organizzata cinese, interessata a reperire a ogni costo la lista Shy Shen con i nomi di tutti i capi delle Triadi Cinesi. Dopo aver sventato un attentato all’ambasciatore cinese negli Stati Uniti, Lee e Carter decidono di partire alla volta di Parigi, che sembra essere il centro operativo della banda nemica. Tra la doppia natura comica e spettacolare tipica dei buddy-buddy movie a uscirne danneggiata è la prima. I duetti tra Jackie Chan e Chris Tucker non sempre sono all’altezza dei precedenti capitoli, appaiono spesso forzati e ripetitivi e vengono decisamente messi in secondo piano dalle rocambolesche e tutt’altro che banali scene d’azione firmate da Ratner, sempre in bilico tra la soluzione comica e il realismo drammatico da poliziesco “serio”. Il prototipo a cui sembra rifarsi il regista Ratner e l’abile sceneggiatore spielberghiano Jeff Nathanson (Prova a prendermi, The Terminal e il prossimo Indiana Jones 4) è proprio Indiana Jones e il tempio maledetto – peraltro esplicitamente citato in uno spezzone televisivo. E’ in particolar modo dal pirotecnico prologo action-musicale del film di Spielberg – quello ambientato in un night club di Shangai con Ford che dopo aver assistito alla performance di Kate

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rush hour2 Capshaw viene avvelenato da una banda di gangster cinesi – che Rush Hour – Missione Parigi sembra attingere nelle raffinate atmosfere, nella perizia spettacolare e nelle citazioni musicali.

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Dietro all’operazione di Ratner sembra ravvisabile una evidente instancabilità della produzione seriale, una coazione a ripetere drammaturgica ed estetica che annoia e allo stesso tempo mantiene inalterata la sua qualità media e la capacità di intrattenere su larga scala. Come se il tempo, le citazioni, la medietà, l’ingegnosità commerciale rivendicassero ancora una volta un'esistenza eterna e invincibile – a tratti anche disarmante e antipatica, ma clamorosamente limpida – incurante dei suoi limiti oggettivi o della sempre più manifesta pigrizia creativa. Una battaglia che l’altro cinema, quello colto e intellettuale, rischia di perdere e che la spiazzante (arrendevole?) presenza in questo Rush Hour di un Polanski impegnato in un doppio cammeo sancisce in modo quasi illuminante e definitivo.

Titolo originale: Rush Hour 3

Regia di Brett Ratner

Interpreti: Jackie Chan, Chris Tucker, Roman Polanski, Tzi Ma, Max Von Sydow, Youki Kudoh
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 90’

Origine: USA, 2007 

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