SPECIALE "IL PETROLIERE" – In God We Trust

Religione e danaro, strumenti di potere, sembrano ormai indistinguibili, ma devono scontrarsi per compiere fino in fondo il loro immutabile destino. Nel film di Anderson lo scontro diventa palese, inevitabile. Totem contro totem, è vero, ma due totem che in fondo sono uguali e complementari. E’ come se Daniel ed Eli sentissero di essere legati da una sorte comune: quella di essere il fulcro di una storia collettiva, che ha preso una strada diversa da quella immaginata dagli antenati, gli antichi padri fondatori

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Il petroliereIn God We Trust, abbiamo fede in Dio, si legge sui dollari. Il che non significa che il danaro sia il dio americano per eccellenza. La storia segreta di una nazione è scritta nei suoi simboli. E uno che di simboli se ne intendeva, Joseph Campbell, spiegava magistralmente il significato del Grande Sigillo sul retro della banconota da un dollaro. Da un lato la piramide la cui cima coincide con l’occhio di Dio, dall’altro l’aquila dal capo bianco che in una zampa ha le tredici frecce della guerra,  nell’altra il ramoscello d’alloro della pace, verso cui rivolge il suo sguardo. Un misto di religione e massoneria, il cui principio base è che l’uomo, tramite la ragione, può correttamente interpretare i simboli e, tramite essi, scoprire dio e la verità. Ben oltre ogni rivelazione. Che poi quei simboli siano riportati su una banconota, sta a indicare come ogni aspetto della vita materiale debba essere informato ai principi della pace e della ragione, come Dio arrida alle attività umane (annuit coeptis), attraverso cui si continua a realizzare la Creazione, e come ogni attimo della vita temporale non sia altro che un riflesso dell’eternità del trascendente (quell’uno che supera gli opposti, e pluribus unum). Erano questi gli ideali dei padri fondatori. Ma la storia segue altri percorsi. L’aquila volge il capo verso le frecce e il suolo della patria si tinge del sangue della guerra. Per arrivare a dio non serve più la ragione, ma la rivelazione del profeta. Si confonde il mezzo con il messaggio, trust da fede si trasforma in cartello e la banconota diventa essa stessa feticcio, oggetto di culto. Religione e danaro, strumenti di potere, sembrano ormai indistinguibili, ma a volte arrivano a scontrarsi quando c’è da riaffermare la supremazia dei valori messi in campo.

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Ne Il petroliere Paul Thomas Anderson fa diventare questo scontro palese. Da un lato Daniel Plainview, il capitalista primitivo: ogni singolo nervo, ogni muscolo in tensione è volto a scavare la terra e a succhiarle il suo sangue nero, nutrito dal sangue rosso degli uomini. Un vampirismo cieco e rapace disposto a passar su cadaveri, affetti, dolori e solitudini. Il danaro è la massima realizzazione di sé, la libertà in moneta. Come confessa al finto fratellastro, l’obiettivo di Daniel è accumulare tanto da non aver mai più bisogno di null’altro. Arricchirsi è autodivinarsi. Il tiranno autocrate è un dio ricchissimo e solo. Contro di lui, dall’altro lato, si erge il predicatore Eli Sunday, fanatico profeta, strumento terreno della rivelazione divina, interprete della giustizia eterna e guida spirituale. L’unico dio è quello dei cui segreti egli è depositario. Non si può accettare null’altro. Il totem del pozzo di petrolio non è che un idolo pagano, un mostro infernale, un vitello d’oro grasso e immobile, che nella sua vera e terribile natura sprigiona fuoco e fiamme. La sua superbia va abbattuta, piegata, costretta a rendere omaggio all’unica vera chiesa e all’unico vero dio. Ma per il pagano, proprio quel fuoco e quelle fiamme che avvolgono il mostro, quei boati disumani che provengono dal ventre della bestia sono la testimonianza piena del suo potere. Agli operai spaventati dall’incendio, Daniel risponde, in un’esaltazione luciferina, che quelle fiamme valgono miliardi e miliardi.

Il petroliereLo scontro è inevitabile. Come scrive Massimo Causo, “totem contro totem”. Ma in realtà non si tratta di opposti. Si tratta di due totem che sono complementari, le due facce della stessa medaglia. Daniel ed Eli Sunday, in fondo, sono uguali. Sono entrambi maestri dell’arte della messa in scena e della mistificazione: recitano per convincere gli altri della loro verità. Daniel mette in scena il suo amore (vero?) per il figlio (falso) per convincere i proprietari delle terre a concedergli i diritti di sfruttamento; Eli recita davanti ai suoi fedeli, per celebrare il suo carisma da profeta narciso. In un film che ha la struttura e la potenza visiva di un muto, non è un caso che loro due sembrano gli unici ad avere il dono, o meglio, il dominio della parola. Tra personaggi parchi di parole, o addirittura muti, loro due parlano, eccome…argomentano, ribattono, giudicano, poggiano accentuano e strascicano le sillabe, modulano e rimodulano a dare forza a quello che dicono. Tutti e due predicano la loro fede. Ma non solo. Da sacerdoti del loro personalissimo culto, praticano gli stessi riti, tanto da battezzarsi a vicenda, uno nel sangue nero della terra, l’altro con l’acqua e il suo privato “spirito santo”. Rito di violenza e umiliazione, di morte e rinascita, dopo il quale ognuno è sempre più simile all’altro, nell’inseguimento della propria ossessione, o mania ispiratrice. E’ in questa eccessiva e pericolosa somiglianza il segreto della rivalità tra Daniel e Eli. Pur se profondamente egoisti, è come se sentissero di essere legati da un comune destino: quello di essere artefici e responsabili delle sorti di coloro che li circondano, di essere a modo loro padri spirituali e motori di una storia collettiva, che ha preso una strada diversa da quella immaginata dagli antenati, i vecchi padri fondatori. Hanno cambiato il corso delle cose e per questo devono ristabilire l’equilibrio violato. Nel finale, in quella stanza vuota di un altro Overlook Hotel, passato, presente e futuro arrivano a coincidere in un eterno assoluto. Oltre le trame segrete della storia, siamo risaliti in cima alla piramide, lì dove si apre l’occhio di dio e si compie definitivamente il destino immutabile dell’umanità. Caino ancora una volta compie il sacrificio rituale di Abele e si suicida nel sangue del fratello, il suo stesso sangue.

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