"L'amore non basta", di Stefano Chiantini
Un altro film di spazi che non riusciamo a riempire e di fantasmi che ci fanno sorridere e disperare per l’ invadenza con cui non smettono di apparire e scomparire, per la goffaggine con cui cadono e si rialzano. Si tratta anche di un film d’amore; però, non dell’amore stitico che inflaziona la titolistica italiana. Al massimo di una patologia che non smette di essere forsennatamente amara e comica; la coscienza di abitare uno spazio con il corpo, ma non sempre di saperlo riempire
“mi sembra che al mondo esistano solo storie che restano in sospeso e si perdono per strada”
Non si tratta di un film sui trentenni, non si tratta di un film sul precariato, né "economico" né "sentimentale"; non vuole fotografare la realtà italiana né, in assoluto la realtà, se si cerca come una verità di incartamenti da sfogliare, piste da seguire per la narrazione, ordine a cui ricondurre l’esistenza tanto per mostrarla più classificabile. Come era anche Una piccola storia, purtroppo non ancora in sala (resta un mistero delle logiche della distribuzione, come ciò accada, nel contempo consentendo invece di dire qualcosa sull’amore a gente ardimentosa come il muccino! Allora il problema non è l’amore, è cosa se ne dice!) è un film a basso budget che racconta con grazia sincera la solitudine di uno strano rapporto a due: quello tra gli esseri umani e i loro piccoli demoni; è un film di fantasmi e di spazi che si muovono anche da fermi come la polvere in controluce in una stanza qualsiasi – di nuovo un paesino lancinante per quanto è nero e giallo come i vicoli portoghesi, ma anche una cittadina più grande, resa metafisica dalla presenza di un tenero padre-giudice esistenziale (Rocco Papaleo, anche cosceneggiatore) la cui natura di apparizione affettuosa scopriamo soltanto sul finale, con una semplice frase, durante una conversazione rubata; che commette con un sorriso ironico tutte le scorrettezze necessarie ad un’indagine investigativa, che segue il figlio nelle sue fantasticherie vendicative, sempre più somigliante al ricordo che rappresenta, con il soprabito che svolazza, comico ma struggente, come una bandiera su un vecchio Municipio – e di fantasmi, appunto, di nuovo terreni, impossibili da scacciare via perché ingombranti senza bisogno di respiri rochi e porte cigolanti: sono troppo voluminose e piene di dolore le loro aspettative, i loro desideri che non abbiamo ancora soddisfatto, lo strascico di cose non dette e nemmeno ancora pensate che non potremo mai comunicare loro: sono ancora in moto, scivolano nella cucina di casa o nelle sale di pizzeria, aiutando ad asciugare bicchieri: l’amore non basta è pieno di gente che entra di soppiatto, fuori fuoco, all’improvviso nelle stanze e per le scale, nei parchi e nei letti: tanto il padre-fantasma di Angelo, tanto la sua Martina: padre perduto per la vita, o vero amore perduto, è lo stesso: quasi altrettanto imprendibili e indefinibili, volti sottratti alla terra e volti sottratti al nostro amore.
Allora ad essere precario, molto più che le mille cose in cui annaspano Martina, e Angelo (Alessandro Tiberi), ma anche alle loro spalle i loro familiari amici insegnanti (Alessandro Haber grosso e triste gigolò, altro padre in fondo tenero e un po’ orso; Ivan Franek, da affascinante conferenziere a ragazzino che tenta un approccio consolatore) scomposti e frammentati come e più di loro (si era detto, il trentennio non c’entra nulla), è ogni fragile momento di bellezza nella vita, e lo scollamento tra ciò che chiamiamo vita di ogni giorno e i momenti definitivi in cui restiamo sospesi è niente più che un lievissimo sfasamento temporale: perdersi, tra persone, è facile quanto sbagliare strada perché si cammina dentro a un quotidiano o alle cuffie con la musica; la compulsione del cilindro di carta che impedisce al caffè di sporcare il ripiano non è sufficiente a ricomporre le spaccature che incrinano pareti e pavimenti, anche se ci camminiamo sopra: di nuovo come terremotati, cercando sempre di superare la fenditura improvvisa con un salto; ogni personaggio di questa storia cerca di sganciarsi a ogni occasione dal sopruso delle classificazioni da operetta – o fiction; Martina (
Sì: poi, è un film d’amore; però non dell’amore stitico che inflaziona la titolistica italiana. Si tratta di un amore che appare e scompare come una chimera, per la sua natura scivolosa e non per le nevrosi domestiche dei suoi “portatori”: che pure avrebbero motivo di esistere. Si tratta semplicemente di una malattia che conosciamo molto bene, l’amore una patologia che non smette di essere forsennatamente comica, tra i cui sintomi si osserva: ascoltare tuo malgrado le astroidiozie dell’oroscopo alla radio, cercare i lustrini malinconici dello stripbar invece della pelle ignorata di una vecchia compagna, far scomparire una folla a una lettura di poesie.
Regia: Stefano Chiantini
Interpreti: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi, Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Marit Nissen
Distribuzione: Mediafilm
Durata: 84'
Origine: Italia, 2008