SPECIALE "The New World" – La paura/desiderio autoctoni

Più che un nuovo mondo è un cinema rinnovante quello di Malick, capace di rigenerarci lo sguardo e l'udito, in bilico perpetuo tra silenzio mai assoluto e fremiti lancinanti, tra dentro/dietro e fuori/davanti come gli autoctoni che acquattati dietro la loro sorella natura scrutano con paura/desiderio quella gigantesca "piroga" di un'altra terra…

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Questo speciale nasce con l'intento di partire da un'immagine di particolare forza e significanza iconica per parlare dell'ultima opera del regista meno prolifico della storia del cinema, eppur in modo inversamente proporzionale così cruciale. Quella che abbiamo scelto, lo precisiamo subito, è una rappresentazione germinale come tante altre disseminate lungo i 151 minuti del film che, a nostro avviso, ben riassume/rilancia il manicheismo totalizzante di quest'ultimo parto (termine più che mai indicato…) di Malick. Infatti, più che un nuovo mondo è un cinema rinnovante e sotteraneamente esplosivo quello malickiano, capace di rigenerarci lo sguardo e l'udito, in bilico perpetuo tra silenzio mai assoluto e fremiti lancinanti, tra dentro/dietro e fuori/davanti come gli autoctoni che acquattati dietro la loro sorella natura scrutano con paura/desiderio quella gigantesca "piroga" di un'altra terra… La "deflorazione" della loro purezza selvaggia è già in quello sguardo furtivo e magnetico fuori-campo che i "pacifici" guerrieri del nuovo mondo che ci danno le spalle lanciano, come un arpione scagliato violentemente da una baleniera, dalla terra ancora esclusivamente loro per poco ancora, uno sguardo che si ancora a quella sconosciutezza custodita dal galeone-scrigno, i colonizzatori. E si può facilmente agganciare l'immagine che abbiamo scelto con quella misterica e sempre in campo lungo dell'imbarcazione avvolta in una nebbia che stende un velo protettivo tra due civiltà solo apparentemente così antitetiche, una garza traspirante che a breve verrà squarciata per sempre. La germinalità della quale parlavamo può rilanciarsi nuovamente mediante un immaginario cordone ombelicale anche all'immagine che avevamo inizialmente scelto ma non reperibile e in quanto tale fuori-campo incessantemente agognato: Pocahontas in piedi su un ramo, vestita in abiti del Vecchio Mondo, che scruta l'orizzonte alla ricerca di sé stessa/della sua terra natale dalla quale è stata bandita. In quella immagine da brivido che dura solo qualche istante si affastellano l'integrazione come la separazione, il contatto primordiale con la natura diverso/uguale a quello che agita il nucleo più intimo del cinema di Boorman, la volatilità angelica inguainata da Q'Orianka Kilcher e si stende un intimo fil rouge sia con quelle immagini cicliche degli uccelli solitari che solcano l'azzurra ossessione di tutto il cinema di Malick (il cielo) che con quel guerriero che indossa cherubinicamente ali artigianalmente approntate. Ma, nonostante tutto, questa (come qualsiasi altra) immagine ci sembrerà sempre parziale, insufficiente perché inevitabilmente manchevole di quella incredibile tavolozza sonora che quasi sovrasta prepotentemente la densità mistica dei fotogrammi almeno nella prima metà di The new world. Magari il prossimo speciale potrebbe essere sonorizzato…

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