SPECIALE "The New World" – L'immagine al di sopra di tutto

Ci assale uno strano imbarazzo, un senso di inadeguatezza ci fa sentire come delle miniature pensanti di fronte a tanto splendore, a tanta ricchezza visiva. L'opera d'arte di Malick parla da sola.

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Cinema di poesia – per citare Pasolini –  quello di Malick, dove le immagini di una natura straordinaria e permanentemente silenziosa fanno da altare ad una storia d'amore che risulta strangolata da sete di conquista, di calcolo e di opportunismo. E' proprio la natura incontaminata del "nuovo mondo", fotografata con luce naturale stupefacente che accompagna e trasporta lo sguardo in una dimensione che apre le porte (della percezione) verso la valle dell'eden di biblica memoria, la struttura portante dell'ultima meraviglia di Malick. Ma per vedere il paradiso occorre uno sguardo puro, non contaminato dai dèmoni del potere e di una (im)possibile ricchezza (l'oro sognato dai primi coloni inglesi non verrà mai trovato nelle terre della Virginia). Uno sguardo, una purezza di visione che gli avidi soldati inglesi non sono in grado di cogliere, accecati non dalla bellezza, dalla pace e dalla serenità di ameni ambienti selvaggi, ma solamente da una inesorabile sete di conquista e dominio. Una terra troppo bella per poter continuare ad esistere.

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Malick stravolge le regole del cinema di "conquista" : non ci sono battaglie epiche tra nativi ed inglesi, né gesti eroici compiuti dalle fazioni in lotta. Lo sguardo del regista texano si sofferma invece su una terra vergine e splendente dove il tempo sembra scorrere seguendo lo sviluppo della luce e delle stagioni: l'inverno e l'estate vengono qui mostrate con il tratto di immagini pittoriche, la scelta di ridurre i dialoghi ai minimi termini rafforza questo senso di "pittura in movimento". Cinema contemplativo e a tratti estatico, dove la trama, il "contenuto", tanto citato e apprezzato dalla maggior parte della critica assume qui – finalmente – una rilevanza prossima allo zero, priva di significato. L'impero del senso, come sottolineato giustamente da Ruggeri, qui trova massima rispondenza e potenza evocativa. Le immagini, sia che riguardino un fiume, un villaggio indiano immerso nella foresta, o un intenso primo piano, fanno vibrare lo sguardo dello spettatore e lo traghettano in un universo di sollecitazioni visive (ma, attenzione, mai violente) che producono un senso di piacere, di completezza, potremmo dire, senza eguali. Il "nuovo mondo" di Malick è per noi nuova esperienza visiva, nuova scoperta, nuovo viaggio.


Mai come in questa grandiosa esperienza dello sguardo deflagra il problema della critica contemporanea: la scrittura. A che serve scrivere su questo film? Ogni termine (tecnico-scientifico quanto si vuole), ogni frase, ogni ragionamento scritto sembra troppo arcaico per questo nuovo (cinema)mondo. Ci assale uno strano imbarazzo, un senso di inadeguatezza ci fa sentire come delle miniature pensanti di fronte a tanto splendore, a tanta ricchezza visiva. L'opera d'arte di Malick, parla da sola : non occorre l'ausilio di un traduttore (letterario) per un'opera (visiva) universale.

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