SPECIALE DARIO ARGENTO – Il piccolo schermo: "La porta sul buio"

La porta sul buioQuando l’autorialità è connaturata anche due mediometraggi semi-sconosciuti possono racchiudere tutta la poetica dei film che verranno ricordati. Questo si profila cristallinamente nella nostra mente quando assistiamo alla proiezione di due piccoli gioielli argentiani perfettamente compiuti come Il tram e Testimone oculare. Leggi tutti gli articoli dello speciale

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Il tram

Interpreti: Enzo Cerusico, Paola Tedesco, Pierluigi Aprà, Emilio Marchesini, Corrado Olmi, Fulvio Mingozzi

Durata: 58'

Origine: Italia, 1973

Distribuzione home video: No Shame

 

Testimone oculare

Interpreti: Marilù Tolo, Riccardo Salvino, Glauco Onorato, Altea De Nicola, Gino Pagnani

Durata: 60'

Origine: Italia, 1973

Distribuzione home video: No Shame

 

Può capitare ed è capitato una volta, anche una sola volta nella vita di una persona, di chiudersi una porta alle spalle e trovarsi in una stanza buia, cercare l’interruttore della luce e non trovarlo, provare ad aprire una porta e non poterlo fare, e dovere restare lì, al buio, soli, per sempre". Così l’ex-critico e giovane regista Argento introduceva i mediometraggi prodotti da mamma Rai nel 1973, volendo fare, naturalmente, il verso alla produzione tv di Hitchcock e alle memorabilmente paciose ed imperturbabili disquisizioni di bonaria ironia sul tema della paura del Maestro inglese. Realizzati a colori ma trasmessi in b/n (almeno le prime volte) perché si era ai tempi del ”primo canale” e la tecnologia nell’etere italiano era ancora ferma lì, Il tram e Testimone oculare dimostrano una serietà professionale tranquillamente paragonabile a quella dei lungometraggi che lo avevano reso e lo renderanno ancor più famoso. Insomma c’è praticamente tutto l’Argento d.o.c. che scardina gli usuali percorsi del thriller: riprese con macchina a mano di virulenta ed eccitante cineticità, ossessione per il dettaglio come per il particolare, l’inscindibile e martellante musica di Gaslini con bassi profondi che scavano dentro, capace anche di tenere la nota per sostenere la tensione dell’inquadratura ma anche di dileguarsi brutalmente e pudicamente per dare spazio alla sola tensione visiva dell’inquadratura argentiana, il sense of humour tipicamente romano (ma più borghesemente educato di un Di Leo o di un classico italian-trash, in parte mutuato dal rapporto di sceneggiatore di spaghetti-western, sommamente con Sergio Leone: “per lui la comicità era essenziale in ogni genere di film per la riuscita dell’opera” ricorda il regista), raffinati zoom a stringere o ad allargare che fanno respirare l’occhio e addirittura mascherini da pre-cinema, stilizzate o virulente carrellate a seguire e a precedere pronte a tramutarsi nei futuri e celebrati piani-sequenza con la louma, i veri e propri marchi di fabbrica dei guanti e dell’impermeabile neri, l’ingegnosità dello script nel delineare e svelare il nodo giallo della vicenda (in particolare nell’affascinante risoluzione de Il tram che quando compie una curva si piega in due all’altezza dello snodo, fa spegnere per pochi secondi la luce e permette all’assassino di vibrare fulmineo il colpo) e soprattutto quella cruciale poetica freudianamente connaturata del brandello corporeo, che diventa filmico per effetto del taglio dell’inquadratura e musicale grazie alla creatività inesausta di Gaslini. L’ambientazione de Il tram rimanda alla profonda passione del regista per le periferie romane, come ha dichiarato anche nel corso della conferenza stampa per Il cartaio nel dicembre 2003: quasi tutta la pellicola si svolge, infatti, a bordo della linea tranviaria 14, che tuttora transita al quartiere Prenestino e
parte da una situazione inizialmente inserita nella sceneggiatura originale de L’uccello dalle piume di cristallo, il suo esordio sul grande schermo.
E il tram in Argento diventa veicolo di morte pubblica, “carontico traghettatore meccanico” del corpo pugnalato di una giovane bionda, trovata uccisa sotto un sedile, a fine corsa, nel deposito dell’azienda tramviera. Enzo Cerusico, impagabile commissario con tanto di spalla sempre pronta ad essere insultata per qualche gaffe, è una macchina della giustizia quasi inquietante come l’assassino che deve smascherare: il suo tic di schioccare continuamente le dita mentre pensa a come risolvere il rompicapo, fa venire alla mente (con le debite distanze, per carità!) per astratta sintesi psicologica Apocalypse now e il memorabile gesto-simbolo di geniale inutilità del tamburellare delle dita di Brando sul proprio capo lucido, azzerato dai capelli ma non da tormentati pensieri. Senza dimenticare, a rafforzare questi tesi sull’ambiguità del poliziotto di Cerusico, che egli non si fa scrupoli a utilizzare come cavia per smascherare a tutti i costi il colpevole la propria fidanzata (Paola Tedesco) che rischia la vita nella bellissima sequenza-shock in chiusura, ambientata nel sopracitato deposito che la protegge-imprigiona. Cosi’ pure a Cerusico è affidato il messaggio “politico” in chiusura d’episodio: "C’è anche il criminale intelligente, magari ha belle macchine, ville, lusso, può anche sembrare una persona per bene, compie delitti anche lui, eccome, solo che quando andiamo a vedere ci mostra le mani e sono sempre bianche, pulite, immacolate".

E anche la Christie di “Dieci piccoli indiani” e “Assassinio sull’Orient Express” non sono tracce così occultate nell’utilizzo dell’ambientazione e dei personaggi di contorno e varia umanità. Testimone oculare partendo dall’ossessione argentiana tipica di quel periodo per l’attendibilità dei fatti (si basa, infatti, su un fatto di cronaca) racconta con accenni gotico-domestici (la casa isolata della protagonista, l’indecifrabilità dei rumori nel tesissimo finale, la fotografia che lavora tutto il tempo sul buio sottoponendo ad un disturbante sforzo svelante l’occhio dello spettatore) di un delitto compiuto da un maniaco che non lascia tracce se non nello sguardo-ricordo considerato poco attendibile della testimone Roberta (Marilù Tolo, per il cui il set fu galeotto dato che iniziò di lì a breve la sua storia d’amore con Argento). Se il credit registico del primo, Sirio Bernadotte, nasconde come stabilito in partenza Argento, Testimone oculare doveva essere girato dal suo aiuto regista Roberto Pariante (che figura effettivamente quale regista nei titoli di testa), ma questi si fece prendere dal panico e per nostra fortuna, lasciò il passo al suo maestro. Diabolici maneggi argentiani per non lasciarsi mai sfuggire l’occasione d’inforcare personalmente l’oculare?

 

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