SPECIALE DARIO ARGENTO – Opere d'Arte: "Ti piace Hitchcock?", "Jenifer – Istinto Assassino", "Pelts"

L’ultimo Argento tv dei due episodi per i Masters of Horror e della fiction rai con Elio Germano scortica via la pelle del proprio cinema per metterne in mostra il muscolo pulsante sottostante: il cuore del cinema, il suo INLAND EMPIRE, la dimostrazione dell’unico modo ancora possibile di fare Cinema oggi. Leggi tutti gli articoli dello speciale

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Masters of Horror: Jenifer (Istinto Assassino)

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Interpreti: Carrie Fleming, Steven Weber, Harris Allan, Brenda James

Durata: 58’ 
Origine: USA, 2005

Distribuzione home video: 01 Distribution, nel box set della prima stagione della serie

 

Do you like Hitchcock? (Ti piace Hitchcock?)
Interpreti: Elio Germano, Chiara Conti, Elisabetta Rocchetti, Edoardo Stoppa, Ivan Morales

Durata: 93’ 
Origine: Italia, 2005

Distribuzione home video: Cecchi Gori

 

Masters of Horror: Pelts
Interpreti: Meat Loaf, Ellen Ewusie, John Saxon, Link Baker, Melissa Gonzales

Durata: 58’ 
Origine: USA, 2006

Distribuzione home video: in Italia non ancora distribuito. Disponibile in USA in box set edito dalla FIP

 

 

“La tua…la tua pelle non c’è più!”
”Sì…l’ho fatto per te. E’ la mia opera d’arte.”

Meat Loaf, Pelts

 


 

In Ti piace Hitchcock? lei ha inserito scene che richiamano quelle di film noti del maestro inglese?
Dario Argento: No.

 

“Jenifer è uno schianto, cazzo!

Voglio dire…per essere un mostro.”


 

Il volto sfigurato di Jenifer è l’evidenza del cinema di Dario Argento, un corpo ancora mostruosamente conturbante, spaventosamente erotico e seducente, irresistibile seppure sempre ad un attimo dal rivelare l’inguardabile vera faccia da essere infernale – elemento estraneo ed impazzito infiltrato con effetti di totale, anarchica liberazione, in un plot e in un’atmosfera da serial tv statunitense ‘medio’. E poi: lo struggente atto d’amore conclusivo di Meat Loaf in Pelts, gratuito urlato esagerato e patetico come ogni act of love, mette in luce in maniera perfetta l’intento a cui film dopo film Dario Argento va incontro in maniera sempre più convinta – scorticare via la pelle del proprio cinema per metterne in mostra il muscolo pulsante sottostante: il cuore del cinema di Dario Argento è allora ormai il minuscolo riquadro sullo schermo di un pc che trasmette le confuse e sgranate riprese di una webcam di un folle sadico che tortura le proprie vittime – diventa allora davvero impossibile affrontare tutto l’ultimo Argento senza fare i conti con la sua opera più estrema, preziosa e ‘avanguardista’, Il Cartaio: perchè tutto d’un tratto con quel film ci parve chiaro quanto la produzione argentiana post-Trauma (e post-trauma) sia necessaria e indispensabile per un discorso critico che abbia a che fare, come quello corrente, con elementi come la televisione, il digitale, la multimediale. Di più: è probabile che Dario Argento non sarebbe questo artista grandissimo, incommensurabile e al giorno d’oggi ancora insuperato, quantomeno in Italia, quale è (il più avanzato sguardo del nostro paese) se non avesse girato opere di meravigliosa e intensa lucidità come appunto Trauma, La Sindrome di Stendhal, di nuovo Il Cartaio – altrochè.  Allora, Ti piace Hitchcock? viene fuori giusto in tempo per aumentare la confusione degli occhi di chi ha visto naufragare compiaciutamente il sistema-cinema di uno degli autori più amati verso la più completa negazione di uno sguardo che non sia qui e ora sulle cose, di un’urgenza quasi impossibile da registrare retinicamente, un’impalpabilità evanescente che raggiunge il suo picco massimo nelle vette da brivido de La terza madre. Il binocolo di Elio Germano non diventa quasi mai segno hitchockiano quanto sguardo dalla finestra di fronte dischiusa sul panorama televisivo del palazzo dirimpetto, abitato da personaggi e situazioni perfettamente ‘da fiction’ – e la forza dirompente di almeno due trovate di montaggio del film, ovvero la smitragliata conclusiva delle volte in cui Germano è stato inquadrato a spiare dalla finestra, e una sequenza di ‘gotiche’ statue torinesi subito contrapposte a Nosferatu che si dispera alla luce del sole nel capolavoro di Murnau che il protagonista del film sta studiando, è comunque tutta interna ad un sistema di coordinate che accetta in tutto e per tutto un linguaggio (post)televisivo: allora, la grandezza dell’ultimo Argento sta tutta nell’immergersi militantemente, interamente e senza alcuna esitazione in questo universo di segni del piccolo schermo – e i due episodi per i Masters of Horror sono lì a dimostrare come il ribaltamento sia sempre dietro l’angolo, per cui la fiaba dark di Jenifer diventa puro atto di rivendicazione di uno sguardo che ribadisce la sua crudeltà insita anche in un telefilm, e la pelle sventrata via di Meat Loaf in Pelts è metafora precisa e puntuale di un autore che ha preso la sua decisione, e la persegue con convinzione. Abbandonando gli eccessi barocchi, salutando la certezza dei colpi di scena studiati a favore di trame-canovaccio-(pre)testo, Dario Argento fa sua e la trasforma in cinema (d’avanguardia!) l’urgenza hardcore e softcore da istant-movie di un linguaggio che continua a mutare mostrando sempre di più la propria evanescenza, facendo a conti fatti del suo INLAND EMPIRE – come quello di David Lynch, come quello di Michael Mann – la dimostrazione dell’unico modo ancora possibile di fare Cinema oggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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