Torino 25 – "Enfances" di Yann Le Gal, Isild Le Besco, Joana Hadjithomas & Jalil

 

EnfancesSei fantasie, sei carillon immaginari sull’infanzia come momento fondante di ossessioni, anche creative, che si rifletteranno sulla vita e sull’opera di alcuni celebri registi, da Fritz Lang a Jacques Tati, da Orson Welles a Ingmar Bergman, da Alfred Hitchcock a Jean Renoir.

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EnfancesSei piccole fantasie del 1900 che prendono spunto da un aneddoto tratto dalla biografia di sei celebri registi e si soffermano su un momento capitale della loro infanzia, e in parte anche sei giochi con lo spettatore che da particolari fisici, geografici e da piccoli indizi disseminati nei frammenti d’infanzia riconosce quelle che saranno ossessioni e influenze di un’intera vita (e di un cinema che non può prescindere dalla vita). Soltanto alla fine di ogni piccola storia compare una frase, spesso una citazione del regista in questione, che conferma allo spettatore l’identità del protagonista e in pari tempo chiarisce la scelta per cui ci si è concentrati su uno specifico minuto decisivo, reale o inventato, perché sia capitale. Ottanta minuti inaugurati da Fritz Lang (un ragazzino dall’intelligenza vivace e di grande maturità di pensiero deve fare i conti con un fratellino affetto da psoriasi , nonché da occasionale sadismo, e con la scoperta delle proprie origini in seguito a un improvviso secondo matrimonio dei suoi genitori, stavolta in chiesa, nel tentativo di proteggersi dalle persecuzioni contro gli ebrei) e seguiti da un salto negli Stati Uniti del 1923 con un piccolo, acuto e determinato Orson Welles (una delle storie più riuscite per la sua semplicità) che, in seguito a un malore della madre, trascorre tutta la sua convalescenza vestito di tutto punto, rifiutandosi di riposarsi, e senza pronunciare una parola che non sia quella della logica (infantile, e magnificamente esatta, quindi) : “se smetto di guardarla, morirà” – sceglie invece un approccio lunare e comico che richiama immediatamente il protagonista a cui è dedicato, l’episodio in cui il senso dell’armonia di un fotografo, durante la cerimonia di una foto scolastica negli anni ’20, viene irrimediabilmente turbato dall’altezza di uno dei collegiali, diverso dai suoi compagni non solo per l’altezza: vivrà infatti una sorta di appuntamento galante in palestra sospeso a una corda da arrampicata ( si tratta di Jacques Tati). Anche il frammento dedicato ad Alfred Hitchcock gioca con quello che sarà il cinema di un bambino grassoccio e brillante, precocemente innamorato del teatro, che si dedica a sperimentare i primi sogni erotici e a incollare foto di divine, da Medea a Ophelia, su un album che verrà bruciato da una madre arcigna e fanatica, alla quale ogni giorno deve confessare i suoi “peccati”: sarà punito e lasciato solo nella grande casa di famiglia in cui sperimenterà una prima notte dell’orrore..Il piccolo Renoir invece, in una specie di “Il Principe e il povero” ambientato nella campagna francese nei primissimi del ‘900, è un mini-gentiluomo che soffre di solitudine e conosce unicamente la madre, sussiegosa e scostante, e una giovane e bella balia, ma si imbatterà in un monello diffidente che gli insegnerà l’arte delle incursioni nei pollai e quella magnifica del salire sugli alberi: “lo straniero che ci porta le sue doti” con cui è possibile stringere un’amicizia che si nutre proprio delle differenze. L’ultimo episodio è fedele al bianco, alla luce e all’ordine delle case svedesi per dipingere un acquerello elegante e sorridente della possibile infanzia di Ingmar Bergman. Sarà messo di fronte alla nascita di una sorellina e alle speculazioni filosofiche di suo fratello maggiore, che tenta di convincerlo ad eliminarla con un cuscino, a causa del disordine che ha portato il suo arrivo in casa e della sua inutilità come compagna di giochi: la storia commenta una frase del regista che potrebbe sintetizzare egregiamente anche gli altri episodi: l’infanzia come momento di sintesi straordinaria, l’unico che insegna come sia possibile passare in un istante dal massimo terrore alla massima gioia, spesso legati alla figura di una madre, che affettuosa, invisibile o fin troppo presente contribuisce a scatenare i primi sentimenti contraddittori, l’amore misto alla rabbia, la voglia di fuga insieme a una prima nostalgia di casa.

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