TORINO 25 – "L Y N C H", di blackANDwhite (Lo stato delle cose)

L Y N C H di blackANDwhiteTele che cercano lo spirito di Francis Bacon, sigarette schiacciate a terra, un bastone chiodato e una guida pratica per far esplodere una mucca: il misterioso uomo mascherato alla guida di L Y N C H si serve di colore e bianco&nero, campioni di pioggia, elicotteri, macchinari e treni e segue il regista da vicino per esplorare liberamente il suo mondo

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L Y N C H di blackANDwhiteL’Uomo Mascherato blackANDwhite (forse Jason S., che compare nei crediti come cameraman e produttore?) sceglie per il suo documentario, che approda a Torino dopo San Sebastian, Cannes, Locarno, Edinburgo e diversi altri festival, una struttura evidentemente concepita come un omaggio al regista – più libera di una semplice serie di interviste, alternando bianco e nero e colore e mescolando alla bella colonna sonora del compositore danese Sune Martin  onde ovattate, campioni di pioggia, elicotteri, macchinari e treni (l’amore di Lynch per i suoni industriali). I luoghi sono le fattorie e le fabbriche abbandonate, visitate e fotografate in lunghe perlustrazioni  polacche, il suo luminoso e disordinatissimo “ufficio” (il pavimento ingombro di sigarette, le bellissime grandi tele recentemente esposte anche a Milano) dal quale guarda il cielo per annunciare il meteo quotidiano di Los Angeles alla comunità degli iscritti al suo sito ufficiale, gli interni dei set di Inland Empire : gli operai abbattono e sfondano muri, ma Lynch stesso (come già noto da altri materiali video realizzati per la BBC, come quello in cui si vedeva nei panni di artigiano creare personalmente alcuni mobili per Lost Highway) è costantemente all’opera in prima persona: pialla, trapana, apre finestrelle asimmetriche nelle pareti, ricopre il pavimento di colla a presa rapida e dipinge una giacca affondandola in un secchio di vernice verde, registra la propria voce, deformandola, per Ghost of love, elogia le possibilità del digitale (la sua modesta Sony Pd 150 con cui filmare “come galleggiando”), vive momenti di scoramento per l’evoluzione del suo progetto, con la dichiarazione, che non è affatto una posa, di non avere a tratti assolutamente alcuna idea dei possibili progressi di un esperimento (specie se costruito in assenza di una sceneggiatura vera e propria, su un’emotività maestosa, come Inland Empire); e parla del suo amore per le atmosfere del circo e del carnevale, mentre scorrono le immagini offuscate dell’ attrice e ballerina polacca Weronika Rosati, in confusi e suggestivi ricordi di un film che lo ha ispirato particolarmente, raccontati come una favola malsana (salvo omonimi, dovrebbe essere lo sci-fi Blood of the Beast di Georg Koszulinski, sui sopravvissuti di una guerra chimica). Il documentario svela anche qualche aspetto spinoso della personalità di David Lynch, smentendo i possibili fraintendimenti su un’immagine di guru controllato e pacato, che di solito viene fuori dalle testimonianze degli attori che lavorano con lui e soprattutto dalla recente decisione di portare in pubblico, con conferenze e dibattiti in tutto il mondo, la sua lunga esperienza di pratica della meditazione trascendentale di Maharishi. Del regista e dell’uomo viene ritratta infatti una personalità più simile a quella che lui stesso ha sempre dichiarato di essere (“sono solo un ragazzo del Montana”) che si esibisce nella parodia di un diffidente agricoltore americano che difende la sua proprietà con il fucile, telefona alla sua donna chiamandola “bocconcino”, dà prova di un humor irresistibile (gli auguri alla Francia nel giorno della presa della Bastiglia) e di goliardia (in un momento di confusione durante le riprese di Inland Empire: “Che fardello deve aver portato Albert Einstein. Il mondo è pieno di idioti”). Nei frammenti intitolati “Racconti di Philadelphia” – la sua Città per eccellenza – si susseguono ricordi sui tentativi infantili del regista di far esplodere una mucca (!) e sullo stupore dei poliziotti di fronte a un grosso bastone chiodato che portava sempre con sé. L’aspetto più interessante anche per chi sia totalmente estraneo al cinema di Lynch restano alcuni attimi di estasi creativa emozionanti da osservare, in particolare durante la direzione di Inland Empire – i momenti in cui va alla ricerca del suono della manovella di un vecchio grammofono, la scena dell’accoltellamento di Laura Dern, che vaga ai confini di molte identità per la Walk of Fame, l’incontro tra la Ragazza Reclusa e il suo ex marito dostoevskijano nel gelo polacco  – “dovete capire che state per entrare in un sogno”, raccomanda agli attori. Dispiace che nel documentario siano materiali piuttosto limitati rispetto alle legittime attese sulla selezione di due anni e 700 ore di girato: blackANDwhite ha dichiarato comunque che questa è solo la prima parte (sul poster si legge infatti Lynch 1) di una trilogia.

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