1993 – Vampires

Il Dracula di Coppola, uno degli horror-mélo più belli di sempre, che cattura come una calamita e lascia fuori il resto dell’immagine. Pura vertigine di una serie sempre più sanguigna sul contagio

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In attesa delle ultime due puntate di stasera, 1993 è ripiombata su quell’anno mostrando un paese avvolto nel buio, popolato spesso da vampiri: di potere, di successo, di sesso. Dove il contagio, tra gli elementi caratterizzanti dell’horror, entra spesso in gioco e trasforma anche alcuni personaggi che sembrano quasi ingrandirsi sullo schermo. Come l’ottimo Sergio Cusani interpretato da Stefano Dionisi che sembra quasi camminare accanto alla sua ombra ingrandita. Ma anche lo stesso Leonardo Notte (Stefano Accorsi), dentro il carcere, forzatamente trasformato come Tahar Rahim in Il profeta per poi tornare sui suoi passi. Ma c’è anche la mutazione della giornalista Giulia Castello (Elena Radonicich), sorella di Veronica (Miriam Leone) dopo l’incontro con Indro Montanelli (un portentoso Roberto Herlitzka) che le fa capire che il giornalismo d’inchiesta può essere diverso da quello di rubare le notizie alla Procura.

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1993 la serieIl contagio è anche l’Aids. E in 1993 c’è uno squarcio fulminante. Luca Pastore (Domenico Diele) che sta conducendo le indagini sulla malasanità va a trovare in cabina di proiezione Eva (Camilla Semino Favro), una ragazza sieropositiva con la quale aveva intrecciato una relazione ma da cui si era allontanato. Lì tra loro arriva uno squarcio mélo. Un bacio passionale. Lo schermo si apre su un altro schermo. C’è uno degli horror, anzi dei melodrammi sanguinanti più belli di sempre, Dracula di Bram Stoker, che uscì sugli schermi italiani proprio quell’anno. Un’immagine si apre su un’altra immagine. Pura magia di una serie che piomba non sul decennio, non su quell’anno, non su quei personaggi, ma proprio su quel film. Un frame, anche istantaneo, che però attira come una calamita. E lascia fuori il resto dell’immagine. Così come  cattura anche il manifesto del film di Francis Ford Coppola in strada. Come se Milano ad un certo punto fosse diventata la Transilvania. E quelle locandine danno l’illusione di tappezzare tutte le pareti. I colori diventano per un po’ più accesi. Anche più rossi. Segno forse  della serie tv più sanguigna realizzata in Italia.

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