Mine vaganti, di Ferzan Ozpetek

Tra i migliori film del regista, è lo specchio del nostro Paese, spesso carico fino all’orlo ma nello stesso tempo indulgente, a volte ridondante ma i protagonisti sono centrati

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Tommaso (Riccardo Scamarcio) torna da Roma a Lecce per trovare i suoi parenti, deciso a rivelare le sue tendenze omosessuali e la voglia di fare lo scrittore, rinunciando alla gestione dell’avviata impresa di famiglia. Tutto si fa assai complicato, perchè il padre è un uomo fortemente tradizionale e in più c’è da difendere l’onore della stessa famiglia conosciuta e benestante. Quando ormai sembra a un passo dall’outing, Tommaso si fa anticipare dal fratello maggiore (Alessandro Preziosi) che ha da fare la stessa confessione…

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Mine vaganti è tra i migliori film di Ferzan Ozpetek, probabilmente al pari con La finestra di fronte. Detto ciò e detto che la storia ha evidenti richiami autobiografici del regista il tema dominante non è l’omosessualità, bensì la famiglia, la difficoltà di farsi riconoscere fino in fondo per quello che si è, soprattutto dai propri cari, da quelle persone che dovebbero amarti senza limiti. Allora a questo punto ci vorrebbe, oltre al cinema, un corsivo fulminante, che mandasse gambe all’aria perentoriamente moralismi e cliché. Gli stessi moralismi per cui il cinema italiano viene accusato, ma da cui gli stessi accusatori non si salvano. Ci vorrebbero corsivi sbiechi e solitari dai quali emerga l’Italia del cinema dei cosiddetti autori, che lascia spesso sbigottiti e mortificati. Ci vorrebbe qualcuno capace di demolire i sacri valori italici al cinema, almeno: la famiglia, anzitutto, produttrice indefessa di psicopatologie varie, anche criminali; e la Patria, che in effetti è arduo amare in toto, incluse la periferia mafiosa e le latrine di tutti indistintamente. Il cinema di Ozpetek è lo specchio del nostro Paese: spesso carico fino all’orlo ma nello stesso tempo indulgente, che non dà il dovuto ma si lascia a volte insolentire. Sicuramente riuscito il lavoro di recupero delle peculiarità stilistiche del suo cinema: l’alternanza di commedia divertente e sentimentalismi commoventi, con in più (forse troppi) momenti ai limiti del grottesco, passando da alcune caratterizzazioni a scelte narrative ridondanti. Ridondante forse è il finale, apparentemente risolutivo ma eccessivamente carico di figure retoriche.

Ridondanti forse sono alcuni personaggi: gli amici gay di uno dei protagonisti, il padre tradizionalista interpretato dal bravissimo Ennio Fantastichini, la saggia nonna che ancora una volta, come spesso accade nei film di Ozpetek, ricopre il ruolo matriarcale, con cui tutti, prima o poi, dovranno fare i conti. Si potrebbe però aggiungere che Ozpetek pare aver raggiunto una decisa consapevolezza autoriale che gli consente di sospendere il tempo, riavvolgerlo con l’uso sapiente della musica (bello soprattutto il pezzo di Patty Pravo “Sogno”), per poi ricadere come una parabola, non definitivamente consolatoria, sulla messinscena avvolgente, a tratti delirante. Finalmente, e speriamo per sempre, Ozpetek si è scorporato del misticismo di forma (Cuore sacro ne è l’apoteosi) per appropriarsi di spazi e stanze che deformano l’anima, di corpi desiderosi di un luogo e di una dimensione in cui (r)esistere. La passione fiabesca e ascetica di alcuni fronzoli di scrittura non propriamente controllati visivamente, sono ancora evidenti (anche se il co-sceneggiatore Ivan Cotroneo, collaboratore in passato di Corsicato e sceneggiatore di un film da molti sottovalutato, Questo piccolo grande amore, ha certamente contribuito a ridurre la distanza tra schermo e sguardo), ma non ci si perde almeno alla ricerca di immagini del sacro tanto che quelle allusioni visive e suggestioni sonore si fanno sempre più pure e sincere. Paradossalmente il meno ambiguo dei film di Ozpetek è probabilmente tra i più convincenti. Non è Il vizietto con i suoi memorabili “eccessi”, ma è la commedia delle parti. Chi ha capito il gioco non riesce più a ingannarsi; non può più prendere né gusto né piacere alla vita… E’ interessante come Ozpetek provi a svuotare, proprio quando sembra colmare senza freni il suo campo d’azione, dalle passioni il cinema statuario del facile umorismo “consentito”  e gioca con il guscio vuoto delle parti, dei ruoli di amante, moglie, marito (e di padre e madre), figlio, nipote, con una disarmante e forse ingenua esplicità, oscillante tra convenzionalità e profonda sfida a essa, sia sul piano cinematografico sia su quello sociale. Se non altro, il più a fuoco (nonostante la testarda ossessione di rimuovere gli occhiali di uno dei personaggi miopi, alla ricerca di calore umano) dei suoi film. Nel quadro di famiglia la cornice separa quasi totalmente l’immagine da tutto ciò che non è immagine. Definisce quanto da essa inquadrato come mondo significante, rispetto al fuori-cornice, che è il mondo del semplice e troppo ancora falso vissuto.

Regia: Ferzan Ozpetek
Interpreti: Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, Ennio Fantastichini, Lunetta Savino
Distribuzione: 01/Fandango
Durata: 110’
Origine: Italia, 2010
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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