NERO/NOIR – Jim Thompson

Jim Thompson

Jim Thompson si divertiva a raccontare di essere nato in prigione. E in “prigione”, come i suoi personaggi, aveva trascorso tutta la sua esistenza, continuando a confrontarsi con le sue ossessioni nelle sue opere, specchi deformanti che riflettono la mostruosità, nascosta da una spessa coltre d’ipocrisia, del volto più oscuro della società americana

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Bad Jim (prima parte). L'inferno esiste e non occorre scavare per trovarlo

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Jim ThompsonJames Myers “Jim” Thompson si divertiva a raccontare di essere nato in prigione, nel 1906 ad Anadarko, in Oklahoma. La prigione si trovava in realtà sotto all’appartamento in cui abitava, con la sua famiglia, l’ingombrante padre di Jim, James Sherman “Big Jim” Thompson, lo sceriffo della Contea di Caddo. E in “prigione” – quell’inferno sulla terra descritto da Carl Bigelow in Notte Selvaggia come «un cerchio di frustrazione che si stringe», dove approdano Doc McCoy e Carol nel bellissimo finale allucinato di In fuga e che è anche il titolo italiano di Now and On Earth, il primo romanzo pubblicato – Jim Thompson, come i suoi personaggi, aveva trascorso tutta la sua esistenza, continuando a confrontarsi con le sue ossessioni nelle sue opere – specchi deformanti che riflettono la mostruosità, nascosta da una spessa coltre d’ipocrisia, del volto più oscuro della società americana – fino al 1977, quando, consumato dall’alcol, dall’insuccesso e dalla malattia che l’aveva reso incapace di scrivere, si era lasciato morire, rifiutando di nutrirsi.
L’America sconfitta dal suo stesso sogno che Thompson ha descritto, citando James Sallis «sovvertendo le regole e i cliché del genere, per poi arrivare, in maniera lenta e capziosa, a sovvertire la natura stessa dei suoi personaggi e, infine, del significato dell’esistenza», aveva intrappolato Jim Thompson già nella sua avventurosa giovinezza (raccontata in Bad Boy, il primo dei tre volumi della sua autobiografia), fatta di mille lavori improvvisati, alcuni dei quali sono gli stessi dei suoi personaggi: il gestore di una sala cinematografica, il venditore porta a porta, il giornalista, il manovale, il caddy sui campi da golf, l’esattore, l’attore, lo scrittore per riviste come True Crimes. Una giovinezza fatta di notti trascorse come fattorino in un albergo nel Texas, a contatto con prostitute, truffatori, criminali e con una precocissima dipendenza dall’alcol, passata da vagabondo, nel disordine malato e spietato della corsa al petrolio e nella disperazione e nella morte della Grande Depressione, accontentandosi di impieghi occasionali, come il tuttofare in una sala di giochi d’azzardo o l’operaio nei campi petroliferi.

The Killer Inside MeLa miseria dell’uomo, creatura ambigua, vittima e allo stesso tempo artefice della sua dannazione e di una società fondata sulla menzogna, che espelle senza pietà chi non riesce ad affermarsi o ad integrarsi, Thompson l’aveva vista nel padre, troppo occupato ad inseguire i suoi sogni per curarsi della famiglia e, dopo un brillante successo, a sprofondare in una cupa disfatta, trascinando con lui il giovane Jim. Quel figlio sempre troppo al di sotto delle aspettative, che non avrebbe smesso di far vivere nelle sue opere – nel Lou Ford di L’assassino che è in me e di Wild Town, nell’agghiacciante Nick Corey di Colpo di spugna il fantasma di “Big Jim” Thompson e di confrontarsi con la figura paterna in una ambigua coesistenza di disprezzo, di feroce rancore e di doloroso rimpianto, desiderando la sua morte in L’altra donna, punendolo con il suicidio in Inferno sulla terra, cercando di prendere il suo posto nel letto coniugale in Child of Rage e ne I truffatori.

Attraverso gli psicopatici, i falliti senza speranza, i piccoli criminali, gli assassini, i mostruosi rifiuti sociali, i dannati già morti «da tanto, tantissimo tempo», come Joe Wilmot in Nulla più di un omicidio o Carl Bigelow in Notte selvaggia, o anche come il vice-sceriffo Lou Ford, attraverso quell’umanità indegna, senza redenzione o speranza, che, in un folle mormorio interiore disseminato di grottesche digressioni, prende forma nelle sue opere, Jim Thompson ha raccontato non solo se stesso, il suo oscuro malessere, la sua esclusione e la desolazione della sua esperienza personale, ma, con una violenza devastante e anarchica, ha continuato, attraverso le voci spezzate e sfuggenti dei suoi personaggi, attraverso le aberranti e implacabili narrazioni in prima persona e le visioni che sprofondano in una spirale di orrore e di perdita di controllo, a destabilizzare l’immagine rassicurante e piena di speranza che l’America si ostinava a proiettare. Usando le parole di Michael J. McCauley, uno dei suoi biografi, i personaggi che popolano l’inferno thompsoniano «giocano le carte che gli sono state date, sovvertendo l’ideale, tipicamente americano, che è diritto di ogni uomo perseguire il suo sogno e il suo destino. Jim Thompson non ha fatto altro che registrare i sogni e il destino delle persone veramente “libere” in America – gli psicotici che girano a vuoto e che sono l’inevitabile  prodotto collaterale della modernità.»

Jim ThompsonNascosto dietro la maschera dell’uomo, del marito e del padre tranquillo, Thompson ha dipinto la famiglia come un’istituzione asfissiante e marcia, come una cellula cancerogena e demoniaca, in cui si consuma ogni tipo di violenza, fisica e mentale. Le cittadine di provincia, i luoghi in cui era cresciuto e nei quali è tornato in quasi tutte le sue opere, sono microrganismi squallidi e di una bassezza disgustosa che riproducono, in piccola scala, un mondo falso e subdolo, dove le leggi del profitto e della sopraffazione regolano ogni rapporto, portando l’essere umano ad un progressivo svuotamento, trasformandolo in un essere già morto, in un oggetto inanimato – un uomo meccanico come afferma Frank “Dolly” Dillon in Diavoli di donne – al quale, per sopravvivere, non resta altro che l’atto di violenza. Ritagliandosi un cameo in Notte selvaggia – lo scrittore alcolizzato che Carl Bigelow incontra mentre avanza nella sua macabra discesa verso la morte – Thompson dà sfogo alla sua cupa visione: «sicuro che esiste l’inferno… (…) E’ il grigio deserto dove il sole non manda né calore né luce e l’Abitudine ingozza a forza il Desiderio senile. E’ il luogo in cui il mortale Bisogno dimora con l’immortale Necessità e la notte si fa spaventosa per i gemiti dell’uno e le grida estatiche dell’altro. Sì, l’inferno esiste, ragazzo mio, e non occorre scavare per trovarlo…».

Jim ThompsonDopo un romanzo mai pubblicato e andato perduto, Always to Be Blessed, dopo l’impegno nell’Oklahoma Writers’ Project, il primo lavoro da scrittore che gli aveva permesso di guadagnarsi da vivere e che aveva lasciato nel 1939, pagando con le dimissioni il suo tesseramento presso il partito comunista, e dopo un frustrante soggiorno a San Diego, senza una stanza dove scrivere, lavorando in una fabbrica di aerei, Jim Thompson aveva raggiunto New York nel 1941, quando l’America preparava la sua entrata in guerra, e secondo il mito creato dallo scrittore stesso, in dieci giorni passati a bere e a scrivere aveva terminato il già citato Inferno sulla terra, pubblicato nel 1942. Non sarebbe stato l’inizio di una folgorante carriera di scrittore. Soltanto nel 1946 Thompson aveva trovato un editore per il suo secondo romanzo, Heed the Thunder, per poi lavorare presso quotidiani e collaborare con riviste pulp e, solo nel 1949 aveva pubblicato Nulla più di un omicidio, il primo romanzo nero. Il genere che Thompson, scardinandolo dal suo interno con un corpo di opere sperimentali, inclassificabili e insidiose («i romanzi di Thompson sono sfuggenti e infidi quanto ognuno dei suoi gioviali assassini. Le dinamiche messe in moto all’interno del testo – il vortice di frammenti di formule noir, i narratori clandestini, spesso folli – sono talmente numerose da impedire al lettore di trovare un luogo confortevole dove fermarsi», scrive Robert Polito), avrebbe adottato nella maggior parte dei suoi romanzi, per tradurre il degrado e la percezione allucinata di personaggi che, condannati fin dalla loro nascita, precipitano nel vuoto e nei quali l’innocenza e colpevolezza rimangono un territorio pericolosamente ambiguo.

I libri di ThompsonSfruttando il successo commerciale dei paperback, la Lion Books era nata nel 1949 come una costola della Magazine Management Company di Martin Goodman. Il magnifico e spietato L’assassino che è in me, pubblicato nel 1952, è il primo romanzo ad esser uscito sotto il marchio della Lion Books, segnando l’inizio della collaborazione tra Thompson e Arnold Hano, uno dei curatori della collana. Una collaborazione e anche un’amicizia che avrebbero posto le basi per il periodo creativo più intenso di Jim Thompson, dodici romanzi, la maggior parte dei quali pubblicati dalla Lion Books e diverse storie, scritti in tre anni. Tra il 1952 e il 1955 Thompson ha dato vita ad alcune delle sue opere più cupe e disperate. Le ossessive e minuziose narrazioni in prima persona (attraverso le quali Thompson aderisce intimamente ai suoi personaggi, senza mai distaccarsi dalle distorsioni e dalla spietatezza del loro mondo interiore) delle menti deviate e instabili del già citato L’assassino che è in me, di Notte selvaggia, Diavoli di donne, Un uomo da niente, E’ già buio dolcezza. Il complesso edipico del fattorino d’albergo Billy “Dusty” Rhodes in L’altra donna. La visione di una società in cui, usando le parole dello sceriffo Nick Corey del successivo Colpo di spugna, «non ci sono peccati privati. Sono tutti pubblici, (…) tutti condividiamo quelli degli altri e tutti gli altri condividono i nostri», che prende forma attraverso le prospettive multiple de Il criminale e Vita da niente, pubblicato con un forte ritardo, nel 1957. Il declino dell’industria dei paperback e del successo della narrativa pulp, assieme alla scelta di Hano di lasciare l’editoria, avrebbero segnato un forte rallentamento nella produzione letteraria di Thompson.

The GetawayLa collaborazione con Stanley Kubrick alla sceneggiatura di Rapina a mano armata e di Orizzonti di gloria non era bastata per aprirgli le porte dell’industria del cinema e la libertà di scardinare ogni convenzione e di frugare nel marcio per portare alla luce, citando Stephen King, «i tumori e cancri che possono esistere nelle viscere della società come in quelle di ogni individuo» offertagli dal mondo dei tascabili e pagata con l’indifferenza della critica, che non considerava degni di nota quei prodotti “popolari” che affollavano le edicole e i ripiani dei supermercati, iniziava pericolosamente e sempre più velocemente a venir meno. Per far accettare il progetto di In fuga al suo nuovo editore, la New American Library, Jim Thompson aveva “depurato” la sinossi dalla potente carica distruttiva e visionaria della sua opera e la New American Library, pur pubblicando nel 1959 In fuga senza alcuna modifica, aveva reagito con sconcerto per la mancanza di moralità e, soprattutto, per l’improvvisa inversione dell’ultima parte del romanzo, in cui, nel surreale inferno di El Rey, prendono forma le aberranti derive della società capitalistica americana.

Colpo di spugnaMentre le opere di Thompson cominciavano a circolare all’estero (la prestigiosa collana Série Noire della Gallimard aveva iniziato a pubblicare in Francia i suoi romanzi), l’America degli anni ’60 e ’70 ancora non era pronta a confrontarsi con i feroci incubi che essa stessa aveva prodotto. Logorato dall’alcol e segnato dal sempre più frequente rifiuto del mondo editoriale e cinematografico, Jim Thompson si era avviato verso la sua parabola discendente (i ripetuti fallimenti, una lunga serie di opere mai terminate, le spesso frustranti novelization, la progressiva erosione della sua creatività), riuscendo comunque a scrivere due tra i romanzi più taglienti e crudi della sua carriera, I truffatori, pubblicato nel 1963, e, soprattutto, lo straordinario e sconcertante Colpo di spugna, nel 1964. Dedicato a Pierre Rissient, che aveva fatto acquistare a Les Filme de la Boetie i diritti del romanzo per trarne un film mai realizzato, Child of Rage, è l’ultima opera da lui scritta. L’America avrebbe tentato di espellere gli incubi descritti da Thompson, confinandoli nell’oscurità e nel silenzio, «quando Thompson morì», scrive James Sallis, «tutti quanti i suoi ventinove romanzi erano fuori catalogo».

Le visioni destabilizzanti, maledette e senza redenzione delle sue opere erano troppo anche per Hollywood. Un mondo che Thompson aveva iniziato a corteggiare, senza successo, nel 1940, sperando di trovare nel cinema quella sicurezza economica e quel successo tanto sognati. Sarebbero passati sedici anni prima del suo esordio come sceneggiatore e solo nel 1972 il grande schermo avrebbe visto per la prima volta l’adattamento cinematografico di uno dei suoi romanzi. Ma questa è un’altra storia.

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