NERO/NOIR – Paul Schrader, il profeta del neo-noir (seconda parte)

Si allontana ben presto dalla auteur theory e ricerca un nuovo paradigma che individui in cineasti diversi elementi formali comuni e archetipi universali. Un approccio critico che raggiunge il punto più alto nell’articolo Notes on Film Noir, dove  formula alcuni concetti sullo stile visivo del noir che avranno un grande impatto negli anni Settanta e Ottanta

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Il percorso umano e professionale di Schrader risulta del tutto singolare, soprattutto se lo confrontiamo con quello di De Palma, Hellman, Lucas, Milius, Spielberg, Scorsese, Friedkin. L’immaginario adolescenziale di questi cineasti è costellato di movimenti di camera, sequenze e inquadrature della storia del cinema, da Ford a Ray, passando per Minnelli, Powell e Pressburger. Concluse le lezioni universitarie, Coppola e gli altri movie brats della futura New Hollywood preferiscono farsi le ossa sui set della factory di Corman. Il lavoro di Schrader sul cinema è più vicino ai precursori francesi dei Cahiers: comincia scrivendo per The Chimes, il giornale del Calvin College, poi nel 1967 diventa direttore di The Spectacle. Trasferitosi a New York frequenta i corsi di cinema alla Columbia University.

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Siamo ormai nella seconda metà dei Sessanta e il clima culturale negli States è in grande fermento, i movimenti per i diritti civili, la controcultura e la New Left diventano sempre più influenti negli ambienti universitari. Il vero punto di svolta arriva con l’amicizia nata con la grande giornalista Pauline Kael, che intuisce il talento cristallino di Paul e lo aiuta a entrare alla UCLA Film School e alla rivista L.A. Free Press. È per molti versi sintomatica la sua stroncatura, dalle pagine di questa rivista, di Easy Rider, manifesto della Hollywood Renaissance diretto da un allievo di Corman, Dennis Hopper, che Schrader considera un film ipocrita e autocompiaciuto. Stroncatura che pone fine bruscamente alla collaborazione con la rivista losangelina. In seguito viene chiamato a dirigere Cinema sul quale pubblica articoli e recensioni molto influenti, fornendo un contributo decisivo per la politica della rivista che sotto la sua ala diventa tra le più importanti della scena americana. Schrader si allontana ben presto dalla auteur theory di Andrew Sarris, considerata allora una sorta di dogma.

In questa fase egli è alla ricerca di un nuovo paradigma che individui nei film, e in cineasti diversi, elementi formali comuni e archetipi universali. Questo approccio critico raggiunge il punto più alto in Notes on Film Noir, lungo intervento elaborato nel 1971 in occasione di una retrospettiva organizzata dalla Filmex, la mostra del cinema di Los Angeles. L’articolo viene pubblicato l’anno seguente su Film Comment. Schrader formula alcuni concetti sullo stile visivo del noir che avranno un grande impatto sulle riflessioni successive e sulla (ri)attualizzazione di questa forma negli anni Settanta e Ottanta. La critica francese, come è noto, aveva individuato una tonalità cupa e disperata comune a molti film hollywoodiani usciti durante la Seconda Guerra mondiale e nel periodo post-bellico. Questa serie di film è considerata da Schrader in qualche modo già anti-classica: la presenza mortifera della femme fatale, l’uso anomalo di flashback, voce narrante, soggettive distorte, ecc.. Il noir non è assolutamente un genere bensì uno stile visivo che attraversa generi e sottogeneri differenti, dal melodramma al thriller, dal crime al poliziesco, dall’horror alla sci-fi. Dell’articolo di Schrader sorprendono ancora oggi la straordinaria consapevolezza e preveggenza:

Il fatto che il film noir abbia conservato il suo fascino riflette una tendenza contemporanea del cinema statunitense: i film americani si sono nuovamente rivolti ai lati più oscuri del carattere nazionale. Considerato che la situazione politica si sta attualmente facendo più difficile, cineasti e spettatori troveranno sempre più motivi per appassionarsi al film noir. Per gli anni Settanta, gli anni Quaranta potrebbero essere quello che gli anni Trenta sono stati per gli anni Sessanta”.

Nei primi anni Settanta gli States sono attraversati da un clima di tensione lacerante: le immagini della guerra (e della disfatta) in Vietnam irrompono nelle case degli americani tramite il medium televisivo, la violenta repressione delle contestazioni da parte della polizia, il Watergate, la frammentazione e le spaventose contraddizioni in seno alla controcultura stessa –che sono al centro di un altro film di Schrader, Patty Hearst. Da questa angolazione assumono una luce diversa anche le sue prime sceneggiature. Taxi Driver viene scritto lo stesso anno di pubblicazione di Notes on Film Noir: il film, diretto e voluto ossessivamente da Scorsese e De Niro, riprende e rielabora in modo evidente gli stilemi del noir. La grande intuizione di Schrader prende vita attraverso altri tre grandi script: The Yakuza (Sydney Pollack che dirige Mitchum, il corpo iconico del noir) scritto insieme al fratello Leonard tornato da poco dal Giappone; Obsession, una sorta di remake postmoderno di Vertigo, diretto da De Palma; Rolling Thunder – film diretto da John Flynn e molto amato da Tarantino – in cui il personaggio di Charles Rane è un reduce del Vietnam psicotico e disadattato, figura che rimanda apertamente a quella di Travis Bickle. Per Schrader non è una coincidenza che, dopo una lunga fase di rimozione, le oscure immagini del noir siano riemerse nel (nuovo) cinema hollywoodiano proprio all’alba dei Settanta. Pensiamo ai numerosi neo-noir prodotti in questo decennio: Hickey and Boggs (sceneggiato da Walter Hill), considerato da alcuni il primo della serie, Chinatown, Il lungo addio, L'occhio privato, L'assassinio di un allibratore cinese, Farewell, My Lovely o Driver. Gli anni reaganiani, poi, si apriranno con i noir nostalgici: Brivido Caldo di Kasdan e Il postino suona sempre due volte di Rafelson.

Il dibattito sul noir all’epoca è tutto interno alla critica e alla cinefilia, per il grande pubblico non esiste ancora un oggetto cinematografico definito noir; questo termine entrerà nel senso comune soltanto nei primi Ottanta. Sempre all’interno dello stesso articolo, Schrader ribadisce la critica a due film cardine della prima New Hollywood, Easy Rider e Medium Cool, accusati di ingenuo ribellismo. Un bacio e una Pistola, pellicola cinica e disperata di Robert Aldrich, materializza molto meglio i veleni reali e virtuali che circolano nel corpo malato della società americana degli anni Cinquanta (il maccartismo, la paura del nucleare, la Guerra Fredda) di quanto facciano i film di Hopper e Wexler nei rivoluzionari Sixties. Il film di Aldrich, uscito nel 1955, è considerato da Schrader l’apice dello stile noir.

Le immagini dell’ultima fase dei noir classici (Gun Crazy, Viale del Tramonto, D.O.A., Neve rossa, L'infernale Quinlan, Sui Marciapiedi, Il diritto di uccidere) sono popolate da fantasmi prodotti dall’inconscio collettivo ormai sprofondato totalmente in un incubo. L’anti-eroe noir si trasforma in un personaggio spettrale e psicotico, tormentato dall’idea del suicidio/omicidio, ossessionato da un passato perturbante e allucinatorio: l’identikit di Travis in Taxi Driver e Charles Rane in Rolling Thunder. L’unica incursione di Schrader nel noir dei Fifties con Witch Hunt (film TV del 1994) eviterà la strada dell’omaggio nostalgico – à la Curtis Hanson di L.A. Confidential tanto per intenderci – distanziandosi da quel modello irripetibile e ibridando, in chiave quasi cormaniana, hard boiled, horror e parodia.

Con The Canyons (scritto da Breat Easton Ellis) ci troviamo nel noir dell’era post-cinema. Le immagini simulacro circolano come un virus nella metropoli diventata ormai un immenso non-luogo. A Los Angeles, sulla Sunset Boulevard, i cinema, ormai macerie, luoghi in rovina, vestigia del ‘900, inquadrati come fossero cadaveri ci (ri)guardano, rispondono al nostro sguardo come fantasmi perturbanti. In questa Hollywood, progettata come spazio vuoto di anime, non può apparire alcuna immagine messianica. Non c’è infatti una possibilità di redenzione per i corpi quasi soderberghiani di Christian, Ryan e Tara (una dissoluta Lindsay Lohan, porno-metafora della caducità del vecchio corpo/cinema), come non c’era per Bob Crane in Auto Focus. In The Canyons i personaggi, come automi senza desiderio, possiedono e distruggono altri corpi, meri oggetti di godimento. Lo sguardo di Schrader, invece, è ancora alla ricerca di una forma che riesca a manifestare l’invisibile tra le pieghe del visibile, anche se questo mondo sembra diventato ormai uno sconfinato e osceno simulacro.

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