SPECIALE "E venne il giorno" – La luce eterna

e venne il giornoFuga dall’ignoto potentissima in un film di straordinario impatto visivo ed emotivo, il migliore realizzato da Shyamalan fino ad oggi. La follia e l’irrazionale, vengono resi ancora più inquietanti da un meccanismo della ripetizione che il regista, rispetto al passato, gestisce con una maturità e un equilibrio assoluti. L’opera oltrepassa poi i territori della fantasy e dell’horror scivolando verso derive mélo di straripante intensità

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C’è un’accecante oscurità dentro quest’ultimo, straordinario, film di M. Night Shyamalan. E venne il giorno infatti possiede quella luminosità persistente del cinema del regista, che spinge continuamente verso altre dimensioni. Stavolta però non si sente quell’invadente meccanismo artefatto nella messinscena presente in parte in Signs e soprattutto in Lady in the Water. Il film invece porta dentro un regno oscuro, pieno di luce, non perimetralmente delimitato come in The Village, ma mobile, quasi una sorta di fuga dall’ignoto (dove Shyamalan sembra filmare l’aria, il vento, con i suoi ‘segni malati’ dentro) che ha una traiettoria simile a The Unbreakable che, dopo questo film, rappresenta oggi la sua opera migliore. In questa pellicola c’erano i segni della malattia nel corpo. In E venne il giorno ci sono invece quelli dello spazio. Da New York a Philadelphia fino alle fattorie della Pennsylvania non sembrano esserci vie di fuga dove le forme del contagio sembrano avere quella stessa sublime efficacia sospesa tra L’invasione degli ultracorpi di Wise e Il villaggio dei dannati di Rilla. La follia, l’irrazionale, vengono resi ancora più inquietanti da un meccanismo della ripetizione che Shyamalan, rispetto al passato, gestisce con una maturità e un equilibrio assoluti. Delle parole sconnesse, la camminata all’indietro e il gesto estremo; quelli di E venne il giorno sono come figure improvvisamente impossessate da un demone, che prende forma internamente senza però nessuna mutazione nel corpo. L’effetto è improvviso e agghiacciante e Shyamalan gestisce perfettamente i tempi dell’esecuzione. Non c’è un piano sprecato nel film, non un’inquadratura che indugia un secondo di più sull’azione. Dagli operai che si gettano dal cantiere, all’automobile che va a sbattere contro l’albero, fino alla madre disperata che avverte che sua figlia è invasata da un raptus irrazionale, E venne il giorno oltrepassa i terreni della fantasy e dell’horror per spingersi oltre, nelle zone di una dimensione sospesa e inafferrabile, terrena e ultraterrena insieme. Non sembra esserci approdo per il professore di scienze Elliot Moore (Mark Wahlberg), sua moglie Alma (Zoey Deschanel) e la figlia di un collega di Elliot che è stata lasciata loro in consegna. Quei campi di Signs sembrano replicarsi continuamente, in una corsa contro un memico che non c’è dentro un riparo che non c’è. Poi, dietro la sua inquietudine, E venne il giorno ha in sé anche degli squarci di lirismo assoluto. Il dialogo tra Elliott rifugiato in un abitazionee la moglie e la bambina in un altro capannone portano il film a un surriscaldamento improvviso, incontrollabile, melodramma puro. L’uscita dalla casa del professore verso la donna, sfidando la morte, è forse una delle più belle dichiarazioni d’amore viste quest’anno.

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