VENEZIA 65 – "Parc", di Arnaud des Pallières (Orizzonti)

Interpretazione francese dei quieti inferni residenziali americani di Bullet Park, magnifico romanzo di John Cheever, a Parc per quanto imperfetto si deve il merito di illustrare con le sue strade cimiteriali un mondo in cui non ha posto neppure la nostalgia, dove la violenza delle emozioni si esprime solo in due corpi di attore parlanti, in scintillanti armi da bricolage e ouverture di carillon per motosega a benzina. GALLERIA FOTOGRAFICA

 

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Interpretazione francese dei quieti inferni residenziali americani di Bullet Park, magnifico romanzo di John Cheever, a Parc per quanto imperfetto (si può andare oltre le facili accuse di pretenziosità) si deve almeno il merito di illustrare con le sue strade cimiteriali un mondo in cui non ha posto neppure la nostalgia, tentare di descrivere quell'osso, bastone o pietra che è l'uomo solo (con le sue ossessioni)  contrapponendo il viso impenetrabile e una disperazione torrenziale, che non consente dubbi morali, implicita nelle camicie perfettamente stirate di Jean-Marc Barr (Paul Marteau – martello), alla fisicità ambigua, fintamente paciosa di Sergi López (Georges Clou – chiodo) sostituendo alle microsocietà facoltose degli anni '60, imbevute di alcool e riunioni ai circoli di golf, una comunità francese arroccata nelle sue case di design, nelle quali penetra insensibile la cronaca delle banlieu come rumore di fondo capace di far presa soltanto, per un attimo, su un adolescente vagamente vansantiano,  sbigottito di fronte all'inutilità del suo respirare (“mi sento come in una soap opera. Chiunque può decidere di farmi sparire”: ma forse, ironicamente, è solo mononucleosi…).  Georges Clou, che ha fatto fortuna vendendo disinfettanti del cavo orale, non vuole essere distolto dalle sue bianche colazioni dalle crisi esistenziali di suo figlio e si chiede stolidamente che male ci sia a coltivare fiori e giocare a tennis, alberga un'inquietudine sorridente che sfoga dedicandosi a imprese sportive, come tagliare legna con una scintillante arma per bricolage, in una scena che prelude alla violenza successiva (come anche l'atletica falciatrice di Paul Marteau, strumenti rurali con cui si cerca di riconciliarsi con la materia) grazie ai carillon per motosega a benzina di Martin Wheleer,

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che semina nel film una rivisitazione malata della musica d'ambiente, corrotta da ronzii che sembrano contenere le voci interiori dei protagonisti (l'arrivo del temporale che si sovrappone lentamente sul campo da gioco, la piscina immobile di una casa con vetrate a vista) e su tutto, la morte alcoolica che aleggia nelle loro feste salottiere, nelle loro conversazioni già teatrali, impostate.  Come già in Harry, un ami qui vous veut du bien, il corpo solido di López sintetizza tutta l'ambiguità e il demone possibile in un uomo soddisfatto, chiodo grossolano su cui batte un martello simbolico non troppo raffinato e ingannato dalle sue stesse percezioni: il vicino di casa, l'estraneo che penetra nel Parco con la sua follia (non rivoluzionaria, ma inutilmente sconquassante), che batte il mondo alla ricerca di un appartamento con le pareti gialle come rifugio definitivo, qualcuno che deve fare i conti con un amore prosciugato,con una di quelle donne feroci custodite nelle cucine degli anni sessanta, che finiranno, in tuta, nelle cucine di Carver, che si abbandona alla tenerezza solo quando la catastrofe penetra nel bel mondo attraverso la cronaca televisiva (“non dimenticherò mai la sua tenerezza quando la tv mostrò il terremoto in Turchia”: sprazzi di ironia nera,  ricevimenti buñueliani da cui non ci si può congedare: il rispetto e insieme la metodica distruzione del galateo che impone il bisbiglio nella scena in cui Evelyne racconta tutte le “perversioni” del marito, provocando niente più che un silenzio temporaneo negli ospiti dal buon nome). Se si rischia di annegare dunque in questo benessere rappezzato, se “una crocifissione è il minimo per svegliare il mondo”, il film scivola in una rappresentazione religiosa in cui il sesso è l'unica comunione onesta, si tenta di scegliere una vittima sacrificale, ma non si può infine nemmeno procedere al rito, restando accucciati nelle pareti di una chiesa in attesa della prossima chance fallita di salvezza.

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