VENEZIA 65 – "The Hurt Locker", di Kathryn Bigelow (Concorso)

the hurt lockerThe Hurt Locker – ovvero l’Inland/Empire dell’ultimo conflitto americano, lo sguardo dal “di dentro”, quasi dall’”entroterra lascia implodere le geometrie della “guerra di guerriglia” in Iraq fra le pieghe dell’anima di uomini disperati in un gioco continuo di sovrapposizioni e dissolvenze fra il “dentro” ed il “fuori” di territori di carne bruciata e corpi di sabbia e dune.

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the hurt lockerUna tempesta di “deserto rosso” scuote la quiete apparente dei viali della laguna. Fra dune di sabbia quasi lynchiane si incontrano/scontrano i corpi e le traiettorie, il fuoco e le fiamme, i confini ed i territori, di un film-limite, dopo un altro capolavoro di sabbia e frontiere come Gabbla (Inland) di Tariq Teguia, come The Hurt Locker dell’americana Kathrin Bigelow.

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Un mare di cupa luce, corpi e linee dello sguardo infuriati ed il paesaggio che sembra esploderti dentro: The Hurt Locker lascia implodere le geometrie della “guerra di guerriglia” in Iraq fra le pieghe dell’anima di uomini disperati in un gioco continuo di sovrapposizioni e dissolvenze fra il “dentro” ed il “fuori” di territori di carne bruciata e corpi di sabbia e dune. L’impero militare americano raccontato dal di dentro, quasi in una “soggettiva” di un assurdo videogame spara-e-fuggi dove però si muore e ci si lacera, non solo la pelle, per davvero. The Hurt Locker, ovvero l’Inland/Empire dell’ultimo conflitto americano, lo sguardo dal “di dentro”, quasi dall’”entroterra” – ma non era questa anche la visione del film di Teguia? – di una guerra sporca che la televisione non ha potuto né saputo raccontare (se pensiamo che il bellissimo Redacted di Brian De Palma non ha trovato alcuna distribuzione in Italia l’anno scorso capiamo come la guerra in Iraq sia ancora una specie di tabù visivo…). Seguendo l’imperativo hitchcockiano “bisogna filmare tutto, far vedere tutto” e la lezione teorica, ma non visiva, del Godard di For Ever Mozart, la Bigelow spinge sull’acceleratore della visione sovrapponendo le immagini di un gioco al massacro che oscilla fra la visione di una guerra collettiva devastante e le devastazioni di vite private consumate dalla “dipendenza” adrenalinica da situazioni di guerra.

Scritto dal reporter Mark Boal, girato in Giordania, ed interpretato da tre straordinari attori come Jeremy Renner, Anthony Mackie e Brian Geraghty (ma il cast vede anche la presenza di Guy Pearce, Ralph Fiennes e David Morse), The Hurt Locker è la storia delle giornate della squadra di artificieri EOD, ragazzi volontari pronti a rischiare la vita per disinnescare congegni ad alto potenziale esplosivo. Mestiere rischioso ed adrenalinico, droga del corpo e dell’anima che pian piano sembra deformare corpo e psiche di un giovane sergente fuggito da una donna ed un figlio appena nato che non riesce ad amare. Fra corpi-bomba pronti ad esplodere, agguati silenziosi e giornate dove anche l’amicizia è segnata dalla violenza e dal contatto fisico – vedi la sequenza della “rissa” serale fra amici nell’accampamento yankee ma anche il tenerissimo abbraccio fra il sergente ed il ragazzino iracheno “Beckam” -, la Bigelow lascia che lo sguardo nervoso e teso della sua macchina da (p)resa si perda lentamente seguendo la discesa agli inferi di questi militari “tossicomani”, si arrenda a paesaggi notturni bruciati da fiamme e bombe. A tutto questo “deserto rosso”.

Fino all’ultima lacerante sequenza che torna con lo sguardo a Vancouver tentando di ricostruire un’impossibile normalità familiare, filmando un padre militare che non “riconosce” e fugge davanti a suo figlio: ancora padri e figli dispersi, metafore viventi di un Paese e di tutto il cinema americano della modernità. L’Inland/Empire di una guerra maledetta che finalmente qualcuno ha deciso di filmare, raccontare, mostrare

 

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