"Pranzo di Ferragosto", di Gianni Di Gregorio

Matteo Garrone presenta questo film diretto e interpretato dal suo abituale aiuto-regista (con Massimo Gaudioso alla direzione artistica). Potrebbe forse evocare una sorta di Casa del sorriso ferreriana con rinnovata grottesca cattiveria e lucidità di cattura della caducità dell’essere umano, ma poi s’accontenta di mostrarsi efficace, incredibilmente veritiera e quotidiana, istantanea delle varie anime della bellissima Roma in un interno.

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Pranzo di ferragosto Gianni De GregorioPotrebbero forse essere suggestioni ferreriane quelle in alcuni momenti permettono a questo film così canonicamente Fandango (simpatiche musiche da orchestrina-fandango, inutile giretto in motorino di metà film per una Roma luminosa così genuinamente-fandango, che si conclude con una bottiglia di vino stappata e bevuta sulle rive del Tevere insieme all’immigrato che vende il pesce…) di accendersi di un reale calore che per certi istanti non vive unicamente sul formidabile volto del protagonista-regista, Gianni Di Gregorio (aiuto regista degli ultimi tre Garrone, che “presenta” il film, è tra gli sceneggiatori di Gomorra). Ma è una domanda: potrebbero? C’è nella sotterranea lotta per il possesso del televisore in camera, nel patetico tentativo ubriachiccio d’abbordaggio del prestante padrone di casa, nei furti di invitanti pietanze di cucina casereccia vietate dal medico da mangiare di nascosto di notte a letto, nell’ostentazione sulla mensola di una patetica targhetta d’auguri regalata lustri fa dai figli poi spariti, in cui si producono le tre anziane signore che Gianni si ritrova a dover ospitare in casa il giorno di Ferragosto insieme all’attempata madre, forse un rivolo di quella grottesca cattiveria e lucidità di cattura della caducità dell’essere umano che rendono superba una pellicola di Marco Ferreri come La casa del sorriso – oppure, l’atmosfera del pranzo finale subito amorevole e avvolgente (con una mdp davvero claustrofobicamente troppo stretta sulle facce, di cui puoi già predire tutte le morbide traiettorie dei movimenti circolari – a Massimo Gaudioso è attribuita la direzione artistica del film) smorza tutta l’efficacia in direzione di una innocua, seppure incredibilmente veritiera e quotidiana, istantanea delle varie anime della bellissima Roma in un interno?  A salvare Di Gregorio dalle perplessità è la scaltrezza con cui non smette mai di ricordarci l’umanità soprattutto del suo personaggio, più che delle cinque anziane attrici in rappresentanza delle varie possibili Terze Età: a muovere l’uomo ad interessarsi alle signore, infatti, è la sua terribile condizione finanziaria per cui sta per essere sfrattato di casa insieme alla madre di cui si preoccupa – e le cure nei confronti delle impegnative ospiti si prolungano in proporzione al fare capolino delle banconote da 100 euro con  cui Gianni viene “ricambiato” (molto bello in quest’ottica quell’istante di sospensione finale con cui l’uomo guarda il mazzo di euro in mano alle signore che gli chiedono di restare ancora, efficace ancora una volta sostanzialmente grazie alla fantastica interpretazione di De Gregorio). Allora, l’elemento estraneo del pranzo, costituito dal “Vichingo”, un canuto perdigiorno in canotta di quelli che è ancora così fortunatamente facile incrociare passeggiando per la Capitale, che si offre di aiutare Gianni per poi scolarsi litri di vino a tavola e assentarsi un attimo per crollare sul letto, diventa la necessaria quadratura del cerchio della rappresentazione del film, che si era aperto proprio con la sua sequenza più bella ed evocativa: un lungo, irresistibile, surreale – ma così assolutamente verosimile – dialogo (probabilmente in larga parte improvvisato) di saluti e convenevoli in romanesco, pieno di sospiri e silenzi meditabondi, seduti fuori dall’Enoteca, proprio tra il Vichingo e il protagonista. del sorriso

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Regia: Gianni Di Gregorio

Interpreti: Valeria De Franciscis, Gianni Di Gregorio, Marina Cacciotti, Maria Calì, Grazia Cesarini Sforza

Durata: Fandango

Durata: 75’

Origine: Italia, 2008

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