TORINO FILM FESTIVAL 26 – Stephen Dwoskin: l'invidia dello specchio, la gelosia dello schermo

the sun and the moonPresentanti nella Zona, i cortometraggi Ascolta! e Mom, e il mediometraggio di un’ora The Sun and The Moon (dichiarata rivisitazione ‘domestica’ del mito della Bella e la Bestia) sono pura compassione dell’immagine, il gesto infinitesimale di fare incontrare nuovamente corpi che non si appartengono più nella stessa misura in cui si son donati allo schermo ed allo specchio. Viene da chiedersi chi sia la bestia, se alla fine non lo sia proprio la videocamera, crudele, spietata, ma capace anche di gesti di infinita bontà e tenerezza.

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the sun and the moonPerché non si può non essere gelosi dello schermo – o invidiosi dello specchio. Lo schermo può ancora parlare con la madre di Stephen Dwoskin, se lo vuole. Può guardare i vecchi filmati che la riprendono ancora e ancora e ancora – rallentarli, sovrapporli, sdoppiarli, scomporli, sovrimprimerli – la madre di Stephen Dwoskin appartiene allo schermo, mentre non appartiene più a Stephen Dwoskin. Anche le lacrime della donna di Ascolta! appartengono ormai allo schermo, che può ingrandirle e attraversarle e amarle e trasformarle – perché non si può non essere gelosi dello schermo, anche se ogni cosa ripresa sullo schermo ne diventa un'altra, e la madre di Stephen Dwoskin in Mom non è più la madre di Stephen Dwoskin, ma una macchia nera su sfondo bianco che si muove a scatti e con lentezza esasperata, ripetendo lo stesso gesto più volte; e le lacrime di  Ascolta! non sono più le lacrime della donna, ma una tonalità un po' diversa nella campitura uniforme, in cui lo zoom reiterato ha trasformato il volto già sgranato da sé per colpa del formato. Nei sette minuti di Ascolta!, le guance dell'attrice diventano di minuto in minuto un paesaggio sempre differente, un'evocazione sempre nuova, una forma sempre diversa. Nei tredici minuti di Mom, la madre di Stephen Dwoskin è in continuo mutamento, un essere sempre cangiante, un'entità senza contorni. Sono un corpo che appartiene al cinema – ah, se si potesse non essere gelosi dello schermo! E lo specchio non è da meno – per lo specchio, si può solo provare invidia: la conturbante Helga Wretman gli si struscia contro, nuda, poggiando i seni sulla superficie d'argento, e baciando se stessa, poi fissandosi negli occhi impassibile: in un angolo dello specchio, compare l'immagine dell'operatore che lo riprende (e dunque riprende anche Helga). A Stephen Dwoskin questo corpo, quello della ragazza, appartiene ancora, unicamente però grazie allo schermo, in quanto il cinema l'ha ri-preso in tutta la fragile malinconia della sua nudità – lo stesso Dwoskin, d'altronde, in ogni modo cerca di donarsi allo sche

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momrmo, farsi divorare da lui: costretto a letto perennemente attaccato ad un minaccioso respiratore, e trasformato dalla malattia in un corpo deforme, sconnesso, e ributtante, Dwoskin si fa riprendere nudo mentre cerca di eccitarsi massaggiandosi il pene, i suoi respiri nella macchina rallentati e trasformati in echi spaventosi da caverne infernali, così come gli urli ripetuti della terza presenza nella casa, oltre a Dwoskin a letto e alla ragazza nuda allo specchio: una donna sconvolta che sfida lo schermo guardandolo con aria fiera e minacciosa, poi urla questi suoni profondi, inumani e terrificanti. Per Stephen Dwoskin, questa – The Sun and the Moon, 60 minuti – è la sua versione 'domestica' de La Bella e La Bestia. Viene da chiedersi chi sia il sole e chi sia la luna, se lo schermo o lo specchio, e in ugual modo chi sia la bestia, se alla fine non lo sia proprio la videocamera, come nella fiaba crudele e spietata, ma capace anche di gesti di infinita bontà e tenerezza, come fare incontrare nuovamente i corpi che non si appartengono più nella stessa misura in cui si son donati, per un attimo solo di sublime intreccio di dita, meravigliosa compassione dell’immagine.

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