FILM IN TV – "Psycho", di Gus Van Sant

Psycho 1998
A quasi quarant’anni di distanza dall’originale, Van Sant riapre il motel Bates per offrire un personale omaggio al capolavoro hitchcockiano. Più che di remake si può parlare di vero e proprio clone, un film che ripercorre inquadratura per inquadratura l’opera di riferimento quasi a sottolineare l’impossibilità di implementarne la perfezione. Martedì 1 dicembre, ore 23.55 Retequattro

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Ci si è spesso interrogati su quale sia il reale significato di un remake e quali i motivi che spingano un regista a riproporre film che hanno già raggiunto una certa fama e sono entrati a far parte inevitabilmente dell’immaginario cinematografico collettivo. Psyco (senza h) è senz’altro uno di questi, l’opera più famosa e riconoscibile del maestro del brivido Alfred Hitchcock. Citata e omaggiata a più riprese, tra gli esempi più significativi come non richiamare alla memoria Vestito per uccidere di Brian De Palma, Psycho torna in una nuova veste che non è poi così tanto differente da quella originale. Van Sant infatti più che un remake, ovvero un rifacimento che modifica, implementa, rilegge e amplifica il film di riferimento con la creazione di nuovi significati, partorisce un clone del capolavoro hitchcockiano, un’opera che ripercorre sequenza per sequenza e inquadratura per inquadratura il modello originale e che ne sottolinea l’indiscutibile perfezione. Nessun mutamento tematico di rilievo, stessa partitura musicale di Bernard Herrmann affidata all’orchestrazione di Danny Elfman, e dialoghi che seguono quasi pedissequamente lo Psyco di Hitchcock. Le uniche novità stanno nell’uso del colore, nell’ambientazione contemporanea, in una serie di richiami metaforici iniziali che fungono da epifanie del destino della povera Marion Crane, in una sessualità maggiormente esibita (significativa in questo senso la masturbazione di Norman Bates mentre spia Marion) e nell’inserto di alcune immagini “subliminali” (una donna nuda, una mucca, nuvole che scorrono nel cielo) nelle scene madri del film. Un’operazione molto particolare quella di Van Sant che si colloca a metà tra l’omaggio e l’oltraggio e che, pur riproponendo il nucleo dell’originale, non può contare sulle medesime straordinarie interpretazioni. Se Anne Heche regge il confronto con Janet Leigh, è Vince Vaughn infatti che non può competere con il Bates di Anthony Perkins, nonostante ne amplifichi la gestualità e i comportamenti che nascondono una latente omosessualità e una mente folle. A questa considerazione si accompagna inoltre il vero interrogativo che pone il rifacimento di Van Sant. Qual è il significato di una tale operazione? Siamo di fronte a un tentativo di far conoscere un capolavoro della storia del cinema alle nuove generazioni o a un semplice divertissement postmoderno di omaggio? Difficile dirlo. Sta di fatto che se si prescinde dalla sua componente concettuale, Psycho è un film neutro, come lo sono tutti i cloni.


Titolo originale: Psycho
Regia: Gus Van Sant
Interpreti: Vince Vaughn, Anne Heche, Julianne Moore, Viggo Mortensen, William H. Macy, Robert Forster
Durata: 105’
Origine: USA, 1998

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    2 commenti

    • So bene che è un appunto antipatico, tuttavia non posso esimermi dal farvi notare che il verbo "implementare" non appartiene alla lingua italiana. Oltre a essere estremamente brutto.

    • suggerisco la lettura della voce sui neologismi di wikipedia… http://it.wikipedia.org/wiki/Implementazione<br />"Implementare deriva dall'inglese implement, che come sostantivo significa attrezzo, utensile, e come verbo adempiere.<br />Il termine inglese, a sua volta, deriva dal latino implere, nel senso di riempire, realizzare." Quindi andrebbe usato per: riempire, realizzare, sviluppare, mettere in opera, attuare, applicare; e non per "aggiungere, aggiungere caratteristiche, aggiungere parti o pezzi.". In tal senso l'appunto di Patafisico è corretto, seppure un pochino "pedante".