FILM IN TV – "Christine – La macchina infernale", di John Carpenter

Rivedere oggi Christine, film sbrigativamente bollato come il “meno carpenteriano” di quel periodo, ci testimonia la potenza di un cinema che sapeva configurare con una semplicità disarmante quella fertile tendenza tra la sicurezza nell’immagine (le scuole, i viali alberati, il sole, le ragazze, le famiglie, ecc) e la cosa che alberga “tra” quell’immagine. Perchè la macchina (femme) fatale è viva. Giovedì 10 ottobre, ore 23,30. Su Rai Movie

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ChristineQuindi la macchina è viva. È in mezzo a noi. Odia, ama, canta, carezza, uccide, fa errori e muore(?). Erano gli inizi degli anni ’80, quelli di Videodrome e Terminator, del primo Lynch e degli alieni di Spielberg: l’alba della nostra era, in cui la miriade di riflessioni sulla “contaminazione” del corpo erano già visibili in nuce in quella grande incubatrice di pensiero che chiamiamo cinema. Siamo nel 1983 quando il Maestro John Carpenter, reduce dal non esaltante risultato al botteghino del capolavoro La Cosa, decide di accettare la trasposizione del bestseller Christine di Stephen King: il risultato sarà una sublime dimostrazione di adattamento fedele e personale nel contempo.

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E allora: il perturbante, l’orrore, arriva direttamente dagli anni ’50 (in chiara antitesi con i nostalgici graffiti lucasiani) incarnato nella Plymouth Fury del 1957 che in uno stacco di montaggio passa dalla nascita all’agonia, vent’anni dopo, quando viene trovata semidistrutta dal liceale problematico Arnie. È colpo di fulmine. Da quel momento in poi Christine è ovunque, ogni inquadratura sembra generata dal suo sguardo, una sorta di soggettiva-libera-indiretta della macchina che osserva l’uomo e ne guida i destini seguendone i più intimi turbamenti emotivi. Il nerd in difficoltà dei teen american movie si trasforma in un ribelle (con echi evidenti a Gioventù Bruciata, il giubotto rosso…) e somatizza il suo lato oscuro nella macchina antropomorfa che uccide i nemici. Ritroviamo nitidamente i motivi cari a King, condivisi da Carpenter: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la doppiezza della famiglia, la repressione sessuale, il femminile che fa “paura”, l'automobile come l'oggetto feticcio del capitalismo, ecc.

Ecco: rivedere oggi Christine, film sbrigativamente bollato come il “meno carpenteriano” di quel periodo, ci testimonia invece la potenza di un cinema che sapeva configurare con una semplicità disarmante la fusione tra la solidissima macchina spettacolare di Hollywood e la sottile sperimentazione sui classici meccanismi di identificazione dello spettatore. Una fertile tendenza dicotomica tra la sicurezza nell’immagine (le scuole, i viali alberati, il sole, le ragazze, le famiglie, ecc) e la cosa che alberga “tra” quell’immagine, nella notte, oltre i nostri occhi. La fiammante Plymouth Fury, allora, non è altro che una macchina (femme) fatale da noir classico, malvagia e demoniaca, che porta alla morte Arnie – uno straordinario Keith Gordon, attore oggi dimenticato, che già in Vestito per Uccidere di De Palma aveva “incarnato” lo sguardo del regista – per il troppo amore diventato ossessione. La bellissima e pericolosa Christine è lo specchio di un cinema che guarda a se stesso con immenso e corrisposto affetto, restando però sempre consapevole che il seme della follia è lì dietro l’angolo. Basta solo uno stacco di montaggio: dalla luce alle tenebre e viceversa.


Titolo Originale: Christine

Regia: John Carpenter

Interpreti: Keith Gordon, John Stockwell, Alexandra Paul, Robert Prosky

Origine: USA 1983

Durata: 110'

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