"L'heure d' été", di Olivier Assayas

summer hours, assayasUno dei più grandi registi viventi. Un film personale sul tempo, sull’arte, sulla vecchiaia e la giovinezza. Forse il film definitivo e nascosto sulla (fine della) Nouvelle Vague. Impalpabile e magnifico. Unknown Pleasures (2). Venerdì 8 ottobre, ore 20.30

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summer hours, assayasSituato tra il sottovalutato Boarding Gate e lo straordinario Carlos, ovvero due pellicole che secondo modalità diverse intraprendono un discorso preciso sulla violenza, il cinema di genere e la globalizzazione in ambito politico ed  economico, L’heure d’été ricopre, all’interno della filmografia di Olivier Assayas, la valenza del “ritorno a casa”, del piccolo film francese smanioso di riallacciarsi a una tradizione nazionale fondata su un profilo intimista, privato, di sfumature comiche e drammatiche allo stesso tempo. Il film racconta infatti le vicissitudini ereditarie di un nucleo famigliare composto dall’anziana Héléne Bertier, dai suoi tre figli Adrienne (Juliette Binoche), Frederic (Charles Berling), Jeremie (Jeremie Renier) e le rispettive famiglie. Al centro di tutto c’è la tenuta di campagna di Héléne e le pregevoli opere d'arte che contiene, in larga parte realizzate e collezionate dal prozio Paul, artista la cui memoria Héléne s'è prodigata di mantenere viva per tutta la vita.
Il ritorno in Francia di Assayas può suonare anche come il lungo addio a una terra d'origine – e contemporaneamente a un cinema (la Nouvelle Vague?) – vista come irreversibilmente legata al passato e a una memoria che forse è destinata a sfaldarsi sotto il peso della modernità. Allo stesso tempo L’heure d’été è il film più sospeso e contemplativo di Assayas. Per certi versi anche il più classico e "convenzionale", per quanto a ben vedere non manchino affatto elementi formali e drammaturgici tipici del regista di Demonlover e L’eau froide, come la grande libertà di scrittura (con i personaggi che di scena in scena sembrano passarsi il testimone di un punto di vista in continuo mutamento),  l’utilizzo reiterato di lunghi e vorticosi piani sequenza tesi a raccontare l’incedere emotivo di situazioni e protagonisti, l’acuta riflessione sulla mercificazione degli oggetti già presente nei suoi film precedenti e le appassionate digressioni su microstorie giovanili (su tutte lo spiazzante finale, che è quasi un omaggio nostalgico e disincantato alla festa de L’eau froide). Sono comunque proprio gli oggetti a essere i protagonisti principali in L’heure d’été. Assayas con la sua macchina da presa sinuosa li corteggia e li illumina come fossero i personaggi di un grande affresco umano sulla storia e la memoria privata, tracciando tramite essi una memorabile riflessione sul tempo e sull'arte, sulla vecchiaia e la giovinezza.

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Olivier Assayas è infatti da molti considerato l’erede diretto della Nouvelle Vague dei Truffaut, Godard, Rohmer, Chabrol, ecc. Come loro nasce nella critica, affermandosi all’interno della redazione dei prestigiosi “Cahiers du cinéma” nei primi anni Ottanta, per poi approdare successivamente prima alla sceneggiatura e poi alla regia. Il suo primo film è Disordine (Désordre, 1986), pellicola che racconta l’altra grande passione del regista, ovvero la musica, inserendola nelle vicissitudini di un gruppo di amici all’interno di un complesso rock che decide di sciogliersi. Successivamente Assayas continua a proporre un cinema interamente dedicato a una personale ricerca sulle relazioni umane e sentimentali, attraverso opere di grande coerenza formale e narrativa: Il bambino d’inverno (L’enfant de l’hiver, 1989), Contro il destino (Paris s’éveille, 1991), Une nouvelle vie (id., 1993), segnano un percorso autoriale maturo ma, almeno in Italia, spesso penalizzato da una distribuzione distratta, per non dire assente. Irma Vep (id., 1996), interpretato dalla star di Hong Kong Maggie Cheung, è insieme un omaggio metacinematografico al cinema muto e al cinema orientale, mentre il notevole Fin août, début septembre (id., 1998) ottiene un ottimo successo internazionale e scopre una nuova generazione di attori francesi, tra cui spicca Mathieu Amalric. Tra i suoi lavori "teorici" anche il documentario: HHH Un portrait de Hou Hsiao Hsien (id., 1997): omaggio al grande regista di Taiwan. Mentre Noise (id., 2005) è la registrazione della manifestazione musicale Festival Art Rock. Nel 2004 Clean (id.) vale alla Cheung, ex moglie del regista, la Palma d’oro per la miglior interpretazione femminile, mentre due anni dopo, sempre a Cannes, viene presentato il noir Boarding Gate (id., 2006) con Asia Argento e Michael Madsen. Nelle pause tra un film e l’altro, continua la sua attività di critico e saggista: negli ultimi vent’anni sono stati infatti pubblicati suoi scritti su Ingmar Bergman, il cinema asiatico, Kenneth Anger e Guy Debord. Nel 2010 a Cannes viene presentato "Fuori concorso" il fluviale Carlos (id., 2009), biopic di quasi sei ore dedicato alla figura del terrorista internazionale Ilich Sànchez.
 

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