CANNES 62 – "Antichrist", di Lars von Trier

Antichrist, di Lars von Trier

“Where are you”, anticristo di von Trier? Il regista persevera nel suo abituale accanimento sul sesso, solo per preparare uno pseudo porno e una pseudo violenza pensati con anni luce di anticipo, rovescio dell’emozione, là dove la provocazione, ormai quasi impossibile, richiederebbe una soglia minima di intelligenza. Restiamo, quindi e sempre, felici orfani di Friedkin

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Dov’è l’anticristo di Lars von Trier? Solo una porta chiusa sul niente, finalmente aperta – dopo il montare dei vari rumors e il sapiente dosaggio delle anticipazioni – in questa 62esima edizione. Bisogna mettersi in fila con due ore d’anticipo, perché siamo tutti orfani di Friedkin, di quella meravigliosa capacità di non mostrare il Male, di quel lungimirante rispetto per la paura che fanno ancora chiudere lo stomaco se si ripensa alla relazione tra diavolo e invisibilità messa in scena dal regista nel lontano 1973. Siamo orfani di Friedkin, col bisogno di guardare in faccia l’anticristo. Ci ritroviamo davanti a una serie di simboli sparsi (la piramide, il corvo, la volpe, gli alberi del male, “la natura è la chiesa di satana”), di fotogrammi della nuca dei protagonisti, di istantanee d’orrore subliminale e di filosofie spicciole: il male è dentro, il male è sopraffazione, chi dà la vita dà anche la morte. Peccato che i riferimenti siano arcinoti (qualcuno ha già vinto la Palma d’oro fotografando l’inconoscibilità dell’animo umano attraverso la nuca dei suoi protagonisti; per non parlare della versione integrale dell’Esorcista), altrimenti non avremmo mai capito, senza von Trier, questi aspetti fondamentali della natura umana…
Chissà se sarebbe andata meglio se, invece di impuntarsi sul più bieco voyeurismo che presuppone nel suo pubblico, von Trier avesse mantenuto il film su quel registro psicologico che rende Antichrist interessante per un attimo, nella parte iniziale, quando “lui”, psicologo, decide di aiutare “lei” (sua compagna, con un figlio in comune appena morto) con una terapia. Diverse piste aperte in quel punto avrebbero potuto portare il film nella dimensione sospesa tra passionale e mentale, amore e odio, cura e crudeltà. Una declinazione nera del doppio rapporto marito-moglie/medico-paziente. Poteva essere interessante. Ma von Trier preferisce il suo abituale, rinsecchito accanimento sul sesso, prosciugato di ogni passione possibile per la vita e per il cinema: un accanimento che serve solo a preparare le immagini di uno pseudo porno e di una pseudo violenza (anche la censura avrà la sua parte di divertimento) pensati con anni luce di anticipo, pensati solo per cercare di provocare là dove la provocazione diventa ogni giorno più difficile – nel mondo delle immagini – e richiede dunque una soglia minima di intelligenza, razionale ed emotiva. Nella migliore delle ipotesi, si tratta quindi dell’ennesimo tentativo gratuito di un regista che gode a sguazzare in un finto male, in una triade dolore-angoscia-disperazione falsa come le statuine del penoso prologo del film, che gode a fare male a quella frangia di pubblico masochista che esplode in grida di giubilo sui titoli di coda. Ma è un tentativo di provocazione – perdonate l’aggettivo così semplice – stupido, senza pensiero se non quello di colpire lo spettatore passando sempre per la strada più semplice, con immagini troppo pensate che non hanno l’effetto

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voluto, piuttosto fanno ridere (con la battuta “chaos reigns” von Trier è riuscito nel miracolo di superare la comicità involontaria del leone parlante nelle Cronache di Narnia). Fortunatamente il pericolo che la coscienza avverte (avendo comunque in mano un mestiere, von Trier è capace di costringere lo sguardo fino alla fine) svanisce, come il film, dopo poche ore. Possono restare – purtroppo, per due attori di talento – solo la capacità di Charlotte Gainsbourg di assumere le sembianze di una bambina, e l’intensità magnetica del volto scavato di Willem Defoe. Se von Trier fosse davvero misogino (se anche questo non fosse un altro tentato sollevamento di parole da spendere sul film, con radici sempre, altrettanto false), anche il pubblico femminile si sarebbe divertito di più. “Where are you”, anticristo di von Trier? Solo una porta aperta sul niente, che per fortuna si richiude subito. Persino Tarkovskij, più che rivoltarsi nella tomba, starà ancora ridendo.

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