VENEZIA 66 – "Korotkoye Zamykaniye", di Petr Buslov, Alexei German Jr, Boris Khlebnikov, Kirill Serebrennikov, Ivan Vyrypayev (orizzonti)

Cinque storie sull’amore. Cinque registi e cinque stili diversi a confronto. Un film articolato in cinque cortometraggi che, seppur individualmente interessanti, faticano a stare insieme e non conferiscono a Korotkoye Zamykaniye la forma di un’opera complessivamente organica

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Il film collettivo Korotkoye Zamykaniye si articola in cinque cortometraggi presentati in successione e diretti da cinque registi diversi. Nelle sue intenzioni di fondo questo film vorrebbe fornire cinque diversi punti di vista sul tema dell’amore. Tuttavia, se si può ritenere ovvia e giustificabile la notevole differenza stilistica tra i vari autori, si fa comunque fatica a ricavare un qualsiasi altro filo d’unione che riesca a tenere insieme le storie presentate per conferire loro la forma di un’opera compessivamente organica. Si ha la sensazione, alla fine del film, di aver assistito ad una rassegna di cortometraggi, alcuni dei quali di alto valore, più che ad un lungometraggio concepito come tale. Forse la causa di tutto è da ricercarsi nel rapido cambio di registro espressivo cui di volta in volta lo spettatore è chiamato ad abituarsi nel breve tempo concessogli dalla durata di ciascun episodio, ma sta di fatto che si fatica ad abbracciare tutti e cinque i punti di vista proposti dai registi perchè troppo personali e, a tratti, persino estremi.
In alcuni casi tutto sembra chiaro, come nel primo episodio in cui un giovanissimo giornalista, incaricato di condurre un’inchiesta sulla manutenzione delle tubature in un quartiere popolare di Mosca, finisce per interessarsi ad una storia d’amore non confessato tra due giovani, operando uno slittamento di interesse dalle vicende sociali verso quelle più personali custodite nell'animo umano. In altri casi, invece, si ha la netta sensazione che lo sperimentalismo stilistico prenda il sopravvento su tutti gli altri aspetti narrativi, finendo per rimanere un'operazione fine a sé stessa che nasconde, dietro l'aspetto di una variazione sul tema, l'abusato ricorso alla forma del film in soggettiva ripreso da una telecamera amatoriale. È questo il caso del secondo episodio incentrato sull'esperienza di una giovane polacca in viaggio a Mosca e del suo fatale incontro con un bizzarro e filosofeggiante coetaneo.
Gli ultimi tre episodi, pur se decisamente molto diversi tra loro, appaiono forse come i più convincenti. Nel primo dei tre – “Riparazione urgente” – un calzolaio sognatore cerca di colmare i vuoti della sua vita dando libero sfogo all’immaginazione. Molto suggestiva la scena in cui il banco da lavoro del suo negozio viene trasformato in un teatro delle marionette e le scarpe nelle protagoniste di una storia d’amore immaginata, in un’operazione che non può non riportare alla mente la “danza dei panini” di chapliniana memoria. Nel penultimo episodio “Il bacio del gambero” si avverte un brusco slittamento verso l’assurdo e il surreale nella vicenda di un giovane che, travestito da gambero per pubblicizzare un ristorante, sperimenta sulla propria pelle i rischi che si possono incontrare quando si vuole dispensare amore a tutti i costi, per poi esser meritatamente risarcito nel finale da un benevolo destino tutto rose e fiori. L’ultimo episodio, diretto dal Leone d’Argento Alexei German jr, è ambientato in un desolato manicomio-lager dove a farla da padrone ci sono i sorprusi dei medici sugli sventurati pazienti che vengono privati della loro identità e persino dei loro sogni, compresi quelli d’amore. Quest’ultima storia, che probabilmente riesce più delle altre a far vibrare le corde emotive dello spettatore, provoca una nuova – e definitiva – sterzata stilistica e precipita l’intero film in una inquietante e destabilizzante atmosfera kafkiana.
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