"Di me cosa ne sai", di Valerio Jalongo

di me cosa ne sai
Il materiale raccolto è tanto e al lavoro non si può negare in un'indubbia passione. L'imopressione generale però è che alla fine questo documentario sia dispersivo.Con qualche taglio in più e una selezione ancora più drastica di immagini e commenti, Di me cosa ne sai poteva colpire nel segno. Invece, per il momento, informa, analizza ma non provoca ancora quello sdegno necessario.   

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di me cosa ne sai"Chi è Fellini?" Sguardi sbigottiti, quasi il nome di un marziano piombato sulla terra o qualcuno che non si è mai sentito nominare. Qualcuna, al limite, era andata in una scuola media che si chiamava proprio come il maestro romagnolo. In questo documentario sul cinema italiano, realizzato a 30 anni di distanza da La macchina cinema diretto da Rulli, Bellocchio, Petraglia e Agosti, Valerio Jalongo monitora lo stato di salute del cinema italiano attraverso un'inchiesta composta da filmati e interviste. Si comincia così a rievocare la figura di Silvio Clementelli che tra gli altri film ha prodotto pure Al di là del bene e del male di Liliana Cavani la cui copia sembrava sparita e invece è stata ritrovata nella cineteca di Oppido Lucano. Si passa poi attraverso le tormentate traversie dell'ultimo film di Felice Farina, La fisica dell'acqua, che non è riuscito a trovare una strada distributiva dopo diversi anni e lo stesso cineasta lo definisce come un "cadavere che è stato riesumato". Prendono quindi la parola registi che si riunirono il 7 maggio 2007 all'Ambra Jovinelli, ci si sofferma sulla decadenza del mitico Studio 5 di Cinecittà dove oggi si registrano le puntate di "Amici" e sulle fughe all'estero di produttori come Dino De Laurentiis. Parlano tra gli altri anche Ken Loach, Vittorio De Seta e il signor Sancassani, l'esercente del cinema Mexico di Milano che ha stabilito un caso nazionale proiettanto per molti mesi Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti. Dopo Videocracy quindi ancora un ritratto di macerie. Il materiale raccolto è tanto e al lavoro non si può negare in un'indubbia passione. Tra le cose migliori, resta l'intervista di repertorio a Fellini che si scaglia contro la pubblicità in tv senza voler scendere a nessun compromesso o il commento 'positivo' di Berlusconi su Ginger e Fred nel quale sostiene però che la televisione è qualcosa di diverso dalla versione grottesca del regista romagnolo e poi lo stacco successivo con un programma tv con vallette che si strusciano addosso a Clemente Mastella.
L'impressione generale però è che alla fine Di me cosa ne sai possa apparire dispersivo. I tanti materiali presenti, forse, non sono stati adeguatamente selezionati e alla fine l'inchiesta ha scavallato dal cinema contaminandosi con la televisione e ciò è evidente soprattutto nell'immagine di Clemente J. Minum che risponde velocemente e seccato alla troupe di Jalongo che gli chiedevano informazioni soprattutto sui metodi Auditel. Inoltre a volte c'è sempre qualche attesa, qualche commento di troppo prima dello stacco. Per esempio, quando si parla della morte di Pasolini oggi, può apparire come un qualcosa di troppo sottolineare ancora una volta che i responsabili non sono stati ancora trovati. Con qualche taglio in più e una selezione ancora più drastica di immagini e commenti, Di me cosa ne sai poteva colpire nel segno. Invece, per il momento, informa, analizza ma non provoca ancora quello sdegno necessario.   

Regia: Valerio Jalongo
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 79'
 
Origine: Italia, 2009 

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    Un commento

    • E' meglio non sapere niente di voi centoautori che in tre anni da quando vi siete costitutiti come associazione non avete mai pensato di togliere il reference sistem per l'assegnazione dei fondi ministeriali e continuate a proporci prodotti autoreferenziali e di basso livello.<br />perchè nel documentario non sottolineate la vostra poca capcità di scrivere e dirigere film che almeno vadano in Europa, non dico mondo ma si fermano si è no a Trieste? <br />il cinema italiano lo avete affossato voi casta di privilegiati e vi hanno finanziato anche troppo.<br />il caso di Diritti è emblematico, uno fuori dai"giri romani" che ci ha messo cinquant'anni a ricevere attenzione dal ministero e con un solo film vi ha fatto vedere come si fa il cinema.