"A single man", di Tom Ford

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In A single man non c'è una figura umana, uno stelo d'erba, un oggetto, un'abitazione o un paesaggio che non siano stati definitivamente essiccati, prosciugati da ogni fluido vitale. La patina esibita di assoluto controllo dei meccanismi cromatici e di costruzione dell'inquadratura non permette mai che il grumo di dolore che dovrebbe rappresentare il cuore della messinscena finisca a galla. Coppa Volpi a Colin Firth a Venezia 66

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a single man di tom ford colin firth julianne mooreUn bacio appassionato sulle labbra sporche di sangue del cadavere della persona amata: l'esordio dello stilista Tom Ford viaggia sul brivido che può suscitare nel corpo di un uomo il contatto con le gelide propaggini di una morte esteriore, interiore, globale – in A single man non c'è infatti una figura umana, uno stelo d'erba, un oggetto, un'abitazione o un paesaggio che non siano stati definitivamente essiccati, prosciugati da ogni fluido vitale.
Ford mostra già una particolare destrezza nel trattamento di un'immagine ricercatissima, ultra-elaborata, passata attraverso i filtri di una certosina astrazione intellettuale che puntualmente condanna al fallimento i toni eruditi dei pensieri del personaggio interpretato da un Colin Firth da Coppa Volpi, e i riferimenti alle situazioni di un film a cui Ford sembra guardare come ispirazione, l'immenso
Incidente di Pinter/Losey. Non nasconde infatti le sue ambizioni, il film e il suo realizzatore: l'invadente commento musicale di Korzeniowski e Umebayashi che surclassa sostanzialmente ogni istante del film ha una chiara derivazione philipglassiana.
Ecco quello che succede:
poco. Il professore di letteratura George non riesce a dimenticare la morte per scontro automobilistico del suo compagno degli ultimi 16 anni, Jim: la sera in cui ha programmato di suicidarsi, decide di cenare con l'amica di sempre, e poi tenta in tutti i modi di portarsi a letto uno studente del suo corso, un inquietante giovane attratto dal fascino della figura tormentata ma sempre disumanamente controllata del suo docente che preferisce snocciolare riflessioni sulla paura invece che discutere Huxley (…). Il film è pesantemente zavorrato da dialoghi terribili quanto logorroici, che immobilizzano ogni situazione in una gabbia di funerea staticità dalla quale pare non esserci alcuna via d'uscita, neppure quando è in scena Julianne Moore che non riesce appunto ad evitare le insidiose e letali trappole del suo personaggio, definitivamente ammazzato dall'arredamento pop del suo appartamento e dal colore viola delle sigarette che fuma.
Ecco quello che si vede:
niente. La patina esibita di assoluto controllo dei meccanismi cromatici e di costruzione dell'inquadratura messa in campo da Ford e dal suo direttore della fotografia Eduard Grau non permette mai che il grumo di dolore che dovrebbe rappresentare il cuore della messinscena finisca a galla, affogato dagli stucchevoli giochi di luce e dai continui tentativi di cristallizzare i significati delle immagini (grappoli di ralenti, dettagli ravvicinati, metafore “scoperte” come i quadranti degli orologi inquadrati di continuo).
Questa volta non vale neppure l'abusata notazione, facilmente riscontrabile in analisi di pellicole simili, che "il film è visto con gli occhi di un cadavere", oppure che il cadavere di Jim sia il reale protagonista del film. No, stavolta è molto più semplice: il film
è il cadavere.

Titolo originale: id.
Regia: Tom Ford
Interpreti: Colin Firth, Julianne Moore, Matthew Goode, Nicholas Hoult
Distribuzione: Archibald Film
Durata: 101'
Origine: USA, 2009

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    3 commenti

    • Pare quasi che il trattamento di una immagine ricercatissima sia un difetto. Da quando non si sa.<br />E se non fosse tutto il contrario? Se la presunta freddezza della pellicola non fosse ancora più lancinante, del trascinante e abusato melodramma? Forse è solo una questione si stile, il dare importanza all'abbinamento delle calze con la maglia. C'è chi lo ritiene una scelta di vita, chi non ci ha mai pensato. Credo che questo pezzo sia un classico caso di chi non ha compreso il film, possedendo magari gli strumenti critici ma non quelli estetici (l'estetica e l'immaginario dello stilista) per valutare l'operazione. Spero che almeno il magnifico romanzo sia stato letto.

    • Finalmente una critica che mi sento di condividere. Il film di Tom Ford è lento, freddo, non trasmette emozioni con le immagini e non ci riesce neppure con la fastidiosissima sottolineatura musicale. Stupisce la quasi unanimità con cui la critica dei quotidiani nostrani ha accolto il film… ma evidentemente i milioni di euro di pubblicità che il tom ford stilista spende ogni anno sui vari corriere, repubblica, etc, hanno potuto anche questo.

    • personalmente credo che Fassbinder avrebbe dato un cazzotto in faccia a questa visione dell'omosessualità dipinta da Tom Ford. E se parliamo di stile, per favore, andatevi a rivedere Querelle. Non è un problema di lentezza, nè di freddezza. L'amore è più freddo della morte, lo sappiamo… ma questa visione così spudoratamente borghese, laccata e "cieca" della sessualità è proprio rivoltante, oltre che, terribilmente, rassicurante (per il mondo etero…)