"Il figlio più piccolo", di Pupi Avati

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Avati crede cristianamente ad un valore ormai incerto, desacralizzato e martoriato com’è quello della famiglia. L’amore che la ex moglie e il figlioletto provano per Luciano nonostante tutte le malefatte è cieco e assoluto, non c’è rabbia e non c’è pietà, c’è solo una stupida, insensata, piacevole e desiderata gioia.

 

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il figlio più piccolo christian de sica pupi avatiIl figlio più piccolo incomincia con Bollino che, raccomandato da un padre superiore (in un certo senso sempre di padre si tratta) sulle difficoltà della vita là fuori, abbandona il convento smanioso di fare soldi. Il tempo dei titoli di testa, con un montaggio forsennato, e il matrimonio tra Luciano e Fiamma è subito liquidato con compiaciuta insolenza. La desacralizzazione del matrimonio (ma poi toccherà anche al sentimento, alla prima volta, spogliata di ogni possibile romanticismo, alla famiglia e via dicendo), cerimonia centrale nei suoi vecchi film (Sposi, Storia di ragazzi e di ragazze, Il testimone dello sposo), è per Avati il primo preoccupante sintomo di un presente indecente, volgare, scorretto in cui il valore del denaro soppianta quello della famiglia, in cui i padri tifano Lazio e giurano sui figli: Luciano è un piccolo imprenditore che nel giorno stesso in cui sposa Fiamma, la donna da cui ha avuto due figli, Paolo e il più piccolo Baldo, scompare assieme al contabile Bollino portando con sé la proprietà di tutti i beni immobili. Anni dopo è presidente di un impero economico costruito su raccomandazioni, ricatti e false società. Ma i debiti accumulati sono insostenibili e per evitare il fallimento e la galera, Luciano telefona a Fiamma, ancora innamoratissima di lui, dicendole di volersi riscattare come padre lasciando tutto il suo impero in eredità al figlio più piccolo.

Per raccontare questo presente allo sbando, Avati sacrifica gli slanci musicali di Riz Ortolani e rinuncia quasi completamente a qualunque tipo di emozione: la promessa di un’emozione, quando Baldo va in cerca di location per il suo filmaccio splatter o quando si avvia mestamente lungo una strada di campagna per tornarsene a casa, è immediatamente elusa dallo squillo di un telefonino o dall’arrivo di una lussuosa automobile. Se il modo in cui sono filmati gli interni, in particolare le riunioni aziendali, è efficace perché privato e oscuro (la scenografia arricchisce l’ambiente con fontane e acquari, il suono lascia in sottofondo il rumore dell’acqua, la fotografia si fa via via sempre più scura), deludenti sono le escursioni in esterno (le esibizioni di Fiamma e Sheyla, l’organizzazione del nuovo matrimonio). Queste scene non appaiono, come si vorrebbe, squallide, ma solamente povere, prive della necessaria forza e di approfondimento, risultato di una scrittura e di una produzione (ma lo stesso va detto per la post produzione: il doppiaggio si stacca con evidenza dal parlato in presa diretta ed è spesso fuori sinc) da qualche anno approssimative e frettolose. Questa negligenza, purtroppo, rischia di far andare persi caratteri e momenti che, invece, restituiscono allo spettatore appassionato il miglior Avati. Più che la scelta di affidare il ruolo del padre Luciano a Christian De Sica, provandolo per la prima volta in una parte drammatica (comunque bravo nel fare sua una recitazione sotto le righe e nell’indossare uno sguardo accigliato e stanco), a convincere è Luca Zingaretti, certamente favorito, in questo caso sì, dalla scrittura di un personaggio particolarissimo con peculiarità misteriose (Bollino è un finanziere con i sandali ai piedi, soffre di ipocondria ed è sessualmente ambiguo). Sono proprio Luciano e Bollino a scuotere un poco il film con un momento finalmente coinvolgente e commovente: dopo un lungo e faticoso viaggio da Roma a Bologna, i due soci si salutano sognando una nuova possibilità

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christian de sica pupi avati il figlio più piccolo economica, e nel salutarsi si scoprono forse amici, complici di vergognosi intrighi ma pur sempre complici fedeli in tutti questi anni.

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Il ricongiungimento finale, con Luciano che uscito dal carcere ripara forzatamente nella povera casa di Fiamma e Baldo, rivela l’ostinazione di Avati nel credere cristianamente ad un valore ormai incerto, desacralizzato e martoriato com’è quello della famiglia. L’amore che la ex moglie e il figlioletto provano per Luciano nonostante tutte le malefatte è cieco e assoluto, non c’è rabbia nei suoi confronti, non c’è neppure pietà, c’è solo una stupida, insensata, piacevole e desiderata gioia. La gioia di avere di nuovo accanto la persona tanto amata, la gioia di riempirla di nuovo delle proprie attenzioni e del proprio amore (e non di ricevere amore, quella è e resterà un’utopia taciuta). Con pudore, Avati fa avvicinare Baldo alla porta socchiusa della camera da letto dei genitori e, quando i due stanno per fare l’amore, gli fa accennare un sorriso. Con ammonimento, abbandona il corpo (perché è sempre stato solo un corpo e mai un’anima) di Luciano, ora inebetito e afflosciato sul balcone di casa. Le dissolvenze incrociate segnano il suo lento spegnersi, mentre una dopo l’altra si riaccendono le luci della villa in cui lui, un tempo, si atteggiava a gran signore. Qualcun altro (forse Bollino?) ha già preso il suo posto e la voce telefonica registrata annuncia meccanica e inesorabile l’elenco infinito di nuove società fantasma.

Regia: Pupi Avati
Interpreti: Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti, Sydne Rome, Nicola Nocella, Fabio Ferrari, Marcello Maietta, Giulio Pizzirani, Massimiliano Varrese
Distribuzione: Medusa
Durata: 100'

Origine: Italia, 2010

 
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