"Il piccolo Nicolas e i suoi genitori", di Laurent Tirard

il piccolo nicolas e i suoi genitoriTratto dai classici di Goscinny e Sempé, il film ne conserva l’umore divertente e nostalgico, che permea un universo anni cinquanta mai realmente esistito. Il piccolo Nicolas crede di aspettare un fratellino, ed escogita con gli amici vari modi per sbarazzarsene. Personaggi che sembrano disegnati su carta, colori aciduli che ritraggono un passato ideale: il film di Laurent Tirard rievoca vecchie illustrazioni, e situation comedy dal gusto vintage

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All’inizio degli anni cinquanta l’illustratore Jean-Jacques Sempé, poco più che ventenne, pubblicò su un settimanale belga una vignetta umoristica intitolata Le Petit Nicolas. Fu nella sede parigina di quello stesso settimanale che Sempé incontrò René Goscinny: era più grande di lui di sei anni, arrivava da New York, scriveva racconti e sceneggiature di fumetti. Tanto bastava perché Sempé ne subisse il fascino, e avesse inizio un sodalizio artistico che diede vita a una serie di storie per bambini. Adesso Le Petit Nicolas sembra inscritto nell’immaginario francese da sempre, corrispettivo del nostro Gian Burrasca e archetipo di un’infanzia che, pur distanziandosi dal reale, appare vera proprio grazie alla sua capacità evocatrice. Ricordi che si appigliano a eventi scoloriti, che stranamente coincidono con episodi scaturiti dalla fantasia di altri.
La nascita di Le Petit Nicolas è quasi fiabesca, e s’inserisce negli edulcorati anni cinquanta: cornice perfetta per l’empatia nata fra due giovani artisti carichi di aspettative. Il regista Laurent Tirard rispetta quell’umore: il mondo che rappresenta sembra disegnato, il linguaggio risulta musicale ed epurato di ogni volgarità, i colori sono aciduli e richiamano vecchie stampe consumate dal tempo. Riprendendo le parole di Jean-Jacques Sempé, quella descritta da Le Petit Nicolas è «un’infanzia sognata», ricca di episodi memorabili eppure già intrisa di nostalgia. "Le persone che amano profondamente la vita provano sempre un sentimento di nostalgia, anche solo per il minuto che è appena trascorso", dichiara Sempé. E il racconto appariva già fuori moda quando è stato creato: qualunque età si abbia, assistendo al film si ha l’impressione di veder scorrere le storie con cui ci intrattenevano i nostri genitori. Perché Le Petit Nicolas raffigura un universo ideale, racchiuso in se stesso, che nel suo richiamare gli anni cinquanta sembra appartenere a un’altra dimensione piuttosto che a una diversa epoca storica: passato che risulta passato sempre. I bambini si dividono fra scuola e casa, le liti dei genitori vengono puntualmente troncate da risate o frasi che stemperano il malumore, non vi è quasi alcuna intrusione da parte della televisione o della radio. Anne Goscinny, la figlia di René, l’ha argutamente definita "autarchia affettiva e sociale", rassicurante nel suo essere claustrofobica e nel suo non concedere al mondo esterno alcuna possibilità d’increspare l’amabile routine. Eppure Nicolas e i suoi amichetti sanno essere spietati, con quell’inconsapevolezza che rende l’infanzia un’età tenera e temibile per molti aspetti. Alcune fantasie di Nicolas tingono di sfumature più cupe quell’idillio che non esiste, come le fiabe possono presentare un risvolto macabro. Tutto, però, viene assorbito dal tono da situation comedy un po’ demodé, e da uno stile aggraziato alla Jacques Tati cui il regista si è ispirato. Valérie Lemercier nelle vesti di madre con velleità di emancipazione è perfetta; dal suo personaggio scaturiscono episodi davvero comici, che riscattano la leziosità (inevitabile) di un mondo che ricordiamo ma non abbiamo vissuto.

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