"La bella società", di Gian Paolo Cugno

la bella società gian paolo cugno maria grazia cucinotta raoul bovaLa bella società è un film multidirezionale che non riesce a trovare un proprio baricentro di stabilità, che ondeggia tra l’affresco storico e la storia privata dei due protagonisti, tra il melodramma e il cinema di costume alla Pietro Germi, ma non c’è sintesi tra queste sue anime ed emerge con fatica dalla sovraesposizione narrativa alla quale si è volontariamente esposto.

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la bella società gian paolo cugno maria grazia cucinotta raoul bovaLa scansione temporale: “anni 50” che compare sullo schermo sull’incipit di un agguato mafioso ad un uomo che guida un camion e il bambino al suo fianco che assiste alla scena e resta solo in lacrime, farebbe pensare ad un altro Baaria. Ma non è così, anche se da subito si aprono le straordinarie luminosità di una Sicilia pochissimo presente al cinema, quel latifondo brullo e immenso che ancora domina la parte centro orientale dell’isola. Qui in un angolo di questa distesa coltivata a grano, vivono Giuseppe e Giorgio con la giovane madre. La possibilità del cinema che arriva in questo lembo di terra tenta la giovane Maria attraverso le parole di Romolo, aitante e seducente factotum della troupe. I due ragazzini sono gelosi della madre e in un incidente casuale Romolo muore. Gli anni passano e tra fughe a Torino per curare la cecità di Giorgio che nell’incidente ha perduto la vista, rigurgiti di lotte contadine e le brigate rosse in azione, le vite di Giuseppe e Giorgio incroceranno, quasi senza averne reale consapevolezza, la storia degli ultimi cinquant’anni del Paese.

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Un film multidirezionale che non trasforma questa caratteristica in un pregio, non riuscendo a trovare un proprio baricentro di stabilità, che ondeggia sempre tra l’affresco storico e la storia privata dei due protagonisti, tra il melodramma e il cinema di costume alla Pietro Germi. Ma La bella società non trova mai una degna sintesi tra queste sue anime ed emerge, dalla sovraesposizione narrativa alla quale si è volontariamente esposto, con fatica e senza un proprio profilo perduto nella superfetazione successiva di una trama tanto complicata (non complessa) quanto perdutamente posticcia. Altri esiti aveva avuto Cugno nel suo precedente film d’esordio Salvatore – Questa è la vita.

Non è sufficiente mettere in fila dieci bandiere rosse per raccontare gli anni settanta, così come non è sufficiente fare gridare trenta contadini contro la polizia per dare conto delle lotte contadine al sud. I grandi avvenimenti della storia non permettono di essere liquidati con i soliti rimedi narrativi, pretendono il tempo che devono pretendere se si chiede loro di essere parte sostanziale della vicenda.

Su questo versante narrativo e drammaturgico il film perde la bussola quando affastella storie e avvenimenti (ci sono di mezzo anche i vecchi genitori di Romolo che cercano un posto dove piangere il figlio che sanno essere morto e che presidiano la casa di Giuseppe e Giorgio) per scoprire, alla fine, che forse il suo baricentro era il legame di sangue tra i due fratelli. La gelosia morbosa di Giuseppe che vede andare via Giorgio a Torino in compagnia della donna conosciuta in quella città (e qui ci sarebbe da raccontare quest’altra deriva narrativa), il rapporto eccessivo e possessivo che nella iconografia cinematografica, che speravamo fosse ormai scomparsa, delinea i rapporti familiari dei personaggi meridionali qui domina le ultime scene del film. Ma il sospetto che il film voglia anche essere un atto d’accusa contro le devianze politiche e sociali del nostro Paese ci viene quando, alla fine, ci si sofferma a chiedersi quale sia l’esatta collocazione del titolo all’interno del film.

Un capitolo a parte va dedicato agli attori alcuni dei quali puntellano, con il proprio carisma, i vuoti (il troppo pieno) del film. Su tutti Raul Bova che dopo La nostra vita rivediamo in una forma sempre più completa, David Coco che sembra destinato a non potere varcare i confini della Sicilia, quando avrebbe numeri e volto non solo da siciliano, Giancarlo Giannini nel suo delizioso accento siciliano da ligure doc. La lista per amore di patria si ferma qui.

 

  

Regia: Gian Paolo Cugno

Interpreti: Giancarlo Giannini, Franco Interlenghi, Antonella Lualdi, Enrico Lo Verso, Raul Bova, Maria Grazia Cucinotta, David Coco, Marco Bocci

Distribuzione: Medusa

Durata: 112’

Origine: Italia 2010

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