(doc) “Pearl Jam Twenty”, di Cameron Crowe


Crowe sembra non perdere mai di vista la tensione costante di un mood riflessivo, buio, introverso, sincero, senza compromessi. Una storia di fantasmi, il pantagruelico home movie di tutta la generazione di Seattle degli anni '90, che aveva a ben vedere ben poco a che fare con la rabbia urlata quanto con la frustrazione repressa del sentirsi impotenti rinchiusi nelle camerette di una città di boscaioli

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“E' severamente vietato divertirsi.
Il primo di voi che verrà sorpreso a divertirsi verrà allontanato dal concerto.”

(Eddie Vedder, Lollapalooza 1992)

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Si apre e si chiude con un lutto il racconto che Cameron Crowe fa dei vent'anni di carriera dei paladini del grunge di Seattle (“non uso mai quella parola” sottolinea Stone Gossard, chitarrista e deux ex machina nascosto della band e dell'intera generazione), a tenere insieme un grosso lavoro di montaggio e interviste che proprio per questo sembra non perdere mai di vista la tensione costante di un mood riflessivo, buio, introverso, sincero, senza compromessi.
Chiariamoci da subito, Cameron Crowe, seppure qui forse ai suoi massimi livelli di fautore di cinema rock, non è Julien Temple, e dunque si lascia sfuggire quasi per intero la potenza fisica e l'epico furore della figura di Eddie Vedder, di cui pure seguiamo le gesta di maggiore sfrontatezza antagonista (lo sprezzante discorso alla vittoria dei Grammy, la maschera di Bush indossata durante il tour di Riot Act…), e quelle di infuocata autodistruzione animalesca (i salti sul pubblico dalle spropositate altezze delle impalcature durante le esecuzioni di Porch dal vivo, il leggendario e disastroso party per l'uscita di Singles…), ma che alla fine sembra vivere costantemente di riflesso, perennemente inquadrato come reincarnazione contemporanea di uno spirito rock di indipendenza, libertà espressiva e strafottenza istituzionale che attraversa la storia della musica popolare da Bob Dylan a Neil Young via Ramones, Strummer e Pete Townshend (figure che puntualmente Crowe monta a paragone e confronto sulle immagini di Vedder).

Ma forse è meglio così, perché la musica di Seattle degli anni '90 a ben vedere aveva ben poco a che fare con la rabbia urlata (quella che in uno dei rari filmati amatoriali recuperati più potenti dell'intero film altera in maniera quasi demoniaca, nell'arco di un'unica brevissima inquadratura e una strofa di Breath, espressione e voce del frontman sul palco che ha appena visto un gorilla della security maltrattare un ragazzo ubriaco tra il pubblico) quanto con la frustrazione repressa del sentirsi impotenti rinchiusi nelle camerette di una città di boscaioli, “a suonare amplificatori Marshall e ad ascoltare di tutto, dal rock al country al blues alla disco”, come dice il documentario in apertura. 
Da questo punto di vista è eloquente il frammento dell'udienza del processo contro Ticketmaster, in cui i Pearl Jam si imbarcarono con l'intento di abbassare il costo dei biglietti dei concerti e di contrastare il monopolio di Ticketmaster su questo genere di eventi: ad un certo punto un giudice donna afferma di trovare Stone Gossard e Jeff Ament, il bassista, che sono alla sbarra, “incredibilmente adorabili” – nell'occhiataccia che proprio Stone lancia alla donna, in quello sguardo fiero e orgoglioso, in quella muta opposizione che si trattiene dall'esplodere, c'è tutta la storia dei Pearl Jam. 

Una storia di fantasmi. I due lutti che dicevamo all'inizio fanno da cornice: la terribile morte nel 1990 di Andy Wood, la voce dei Mother Love Bone, band dalle cui ceneri nasceranno i Pearl Jam, e la tragedia di Roskilde 2000, dove durante un concerto dei Pearl Jam 9 fan morirono schiacciati dalla calca che spingeva sotto il palco. In mezzo, lo shock per la morte dell'eterno amico/rivale Kurt Cobain, ma anche la verità sul padre biologico di Vedder, che Eddie, cresciuto con un altro uomo in famiglia, credeva essere solo un amico dei genitori, per poi scoprire di esserne il figlio solo dopo la morte del supposto “conoscente”, e la dura lotta contro la dipendenza dai farmaci che ha impegnato il chitarrista solista Mike McCready quando scoprì d'essere affetto dal morbo di Crohn. 

Ecco, il pregio maggiore del lavoro di Cameron Crowe è quello di riuscire a far ballare questi fantasmi, mettere in scena la loro costante presenza sulle vicende e le anime della band (e i loro problemi, come l'eccesso di attenzione mediatica puntata sul solo Vedder, o l'avvicendarsi di numerosi batteristi diversi all'interno del gruppo) – come nel riuscito montaggio alternato tra le due versioni di Crown of Thorns, quella originale di Andy Wood in bianco e nero che va ad innestarsi sulla cover cantata con grossa emozione da Vedder, o come nel frammento ritrovato con Eddie e Kurt Cobain che sembrano ballare un valzer, stretti l'uno all'altro con Cobain che accarezza il viso di Vedder. 

Sono quegli stessi spettri che senti aggirarsi quando riguardi delle vecchie foto, o dei filmini familiari: e infatti Pearl Jam Twenty, complice un prodigioso lavoro di assemblaggio delle fonti più differenti, oltre ad apparizioni tv (comprese le parodie di Adam Sandler nel SNL e di Celebrity Deathmatch) e gli estratti dai dvd ufficiali uno sterminato archivio di registrazioni amatoriali girate dai fan, dagli stessi musicisti, dalla loro crew, e una sentita testimonianza del compare di sempre Chris Cornell (Soundgarden, poi Audioslave), si staglia davvero come pantagruelico home movie di tutta una generazione di Seattle.
L'album dei ricordi di un gruppo di appassionati di rock che, come una sola famiglia e un'unica grande band, si sono lanciati nella riscoperta di un'anima artigianale, a misura d'uomo e a dimensione il più possibile personale, del fare musica inteso come pratica quotidiana (le setlist diverse per ogni performance, il controllo su ogni elemento di un album comprese le copertine spesso firmate da Ament, la pubblicazione di tutti i bootleg ufficializzati…) e atto d'amore.

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    4 commenti

    • va tutto bene….ma quando esce in dvd?

    • Il 21 Ottobre, alle 9 p.m. (ET/PT), il film verrà trasmesso dall'emittente americana PBS nell'ambito della prestigiosa serie "American Masters", durante il primo PBS Arts Fall Festival. Seguirà la pubblicazione in DVD, via Columbia Records/Sony Music Entertainment, il 25 Ottobre 2011.

    • A documentario visto confermo la tesi, da fan del gruppo ho ritrovato tutto l'amore che in questi vent'anni i Pearl Jam hanno nutrito per il pubblico, per la musica e sopratutto, uno verso l'altro. Bellissimo

    • Davide (canupazzo)

      Meglio di ogni più rosea previsione.
      Il movie spacca davvero.
      Bello bello.