CANNES 63 – "R U There?", di David Verbeek (Un Certain Regard)

R U There

Quella del regista olandese è una favola che evita i moralismi,  fa esplodere i rumori e si distende nei silenzi, che, pur nel narrare una storia ben nota nel suo minimalismo, si concentra sul percorso di una conoscenza reciproca mantenendo un prezioso equilibrio

 

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R U ThereUna storia di desideri espressi attraverso il silenzio, gli sguardi e i corpi che si sfiorano e toccano, sempre in gesti trattenuti, e di un amore avvicinato rimandato infine spezzato ma non interrotto, piuttosto sospeso, forse vissuto altrove, magari nello spazio bianco di un cielo irreale o in quello di una second life dove ri-nascere identici/diversi da sé. La racconta, con tocco originale, questa relazione (im)possibile – tra un giovane professionista di videogiochi olandese a Taipei per un campionato internazionale di game di guerra e una ragazza del posto, silenziosa e misteriosa, che lo aiuta con i suoi massaggi a superare i dolori a una spalla che gli impediscono di allenarsi e giocare – il trentenne regista olandese David Verbeek in R U There? che, fin dal titolo (contrazione di Are You There?, dal linguaggio della comunicazione della rete), lancia il suo sguardo oltre il cinema, nei territori virtuali tanto del videogioco adrenalinico quanto in quelli del mondo parallelo di Second Life.
Tre livelli dentro i quali e dai quali il film di Verbeek s’immerge e riaffiora. Inizia
dando tutto lo schermo a scene di guerra di un videogioco (come in un Hurt Locker d’animazione) e spesso abbandona il set metropolitano di Taipei (filmata in brevi squarci sospesi, che i due personaggi osservano senza lasciarsi coinvolgere da quel che accade attorno a loro) e quello della campagna (dove il film e gli amanti, virtuali nella vita qui sulla terra, si spostano, nel villaggio d’origine della ragazza) per lasciare spazio a un altro tipo di animazione, quella che prende forma da Second Life, in cui Min Min (Ke Huan-Ru: impenetrabile, fragile, bellissima) diventa una fata e Jitze (Stijn Koomen: corpo e sguardo da militare, che lentamente muterà) il soldato che la proteggerà (ma alla fine anche il suo corpo virtuale cambierà, come i suoi abiti).
R U There?
è una favola che evita i moralismi, che fa esplodere i rumori e si distende nei silenzi, che, pur nel narrare una storia ben nota nel suo minimalismo, si concentra sul percorso di una conoscenza reciproca mantenendo un prezioso equilibrio e, nell’affidarsi a un progressivo sconfinamento dal realismo (si pensi anche all’ultima scena sull’aereo che dovrebbe riportare a casa Jitze e invece si trasforma in fuga definitiva dal reale, con il giovane che spalanca il portello e si lascia cadere, cadendo così, Jitze e il film, nel vuoto di una nuova esperienza ancora tutta da vivere e dunque impossibile da descrivere e mostrare), non incappa mai nelle trappole delle convenzioni.

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