VENEZIA 67 – “A Letter to Elia”, di Martin Scorsese e Kent Jones (Fuori concorso)

a letter to eliaScorsese davanti la macchina da presa si mette a nudo con una sincerità disarmante, certamente superiore a quella che oggi mette in gioco quando è dietro la macchina da presa. Il modo in cui parla dei film, dei registi amati, il modo in cui si lascia andare, raccontando il cinema e se stesso… E’ sconvolgente, perché ci appartiene…

 

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Con questo omaggio a Elia Kazan, Scorsese, accompagnato dal critico Kent Jones, prova a porsi queste domande. E senza dubbio lancia un sguardo critico sul cineasta più discusso e odiato della storia di Hollywood. Ma questo film è soprattutto un pezzo di cuore, una lettera privata con cui Scorsese confessa al ‘maestro’ ciò che non era mai stato capace di dire. Tutto l’amore taciuto per pudore, la passione, la riconoscenza per il modo in cui quei film hanno raccontato la sua giovinezza di figlio di immigrati, chiamato a salvarsi in un quartiere e in una città in cui perdersi era la vocazione. L’italo-americano di strada e Il ribelle dell’Anatolia, il greco perseguitato in patria e accolto tra le braccia del Nuovomondo. E’ un gioco a due questo A Letter to Elia. O meglio un gioco tra un uomo e uno spirito. Due destini simili.. Entrambi figli di un’altra terra, entrambi arrabbiati, in cerca di riscatto. E proprio con la traversata di America, America si apre questa magnifica dichiarazione d’amore, che parla di sofferenze e ossessioni. Il sogno di un altro luogo in cui vivere finalmente in pace. E l’illusione di averlo raggiunto, nonostante tutto, nonostante gli ostracismi, le inchieste e le inquisizioni. Mi arrabbio quando si parla male di questo Paese – dice Kazan, letto da Elias Koteas – perché so come si sta dall’altra parte. E poi si continua attraverso altre immagini e altre storie e altre parole. Da Un albero cresce a Brooklyn e Boomerang – l’arma che uccide a Fronte del porto e La valle dell’Eden, per tornare infine a Il ribelle dell’Anatolia, “il film più personale”.
a letter to eliaNon sono mai stato capace di dire a Elia quanto i suoi film fossero stati importanti per me – risponde Scorsese, come in un dialogo spezzato. Ma forse è giusto così. Perché probabilmente non avrebbe capito. Col tempo ho imparato a distinguere l’opera e l’autore. Ed è il momento di vertigine assoluta, l’attimo in cui riconosciamo la nostra inadeguatezza a dire tutto, a esprimere l’amore se non per balbetti, a provarlo se non nello stomaco, nel profondo delle viscere. E qui entriamo in gioco noi, aprendoci un varco nel dialogo privato. Scorsese davanti la macchina da presa si mette a nudo con una sincerità disarmante, certamente superiore a quella che oggi mette in gioco quando è dietro la macchina da presa. Il modo in cui parla dei film, dei registi amati, il modo in cui si lascia andare, raccontando il cinema e se stesso… E’ sconvolgente, perché ci appartiene… E non importa se lo sguardo critico e l’esegesi sia originale o meno. La capacità di Kazan di dirigere gli attori, di far venir fuori la verità profonda della loro anima (perché al cinema la mancanza di verità non perdona), la verità dei volti, degli ambienti, la modernità dei temi e dei conflitti… Sono tutte cose a cui pensare dopo. Quello che conta è la capacità di Scorsese di connettere le immagini alla vita, di cogliere il turbine di sentimenti che ne segnano la genesi e la fine, e di riportare questi sentimenti a sé, a noi, al nostro vissuto muto. E così il dialogo decisivo tra Marlon Brando e Rod Steiger in Fronte del porto non è solo la scena culminante in cui due grandi attori danno il meglio di sé,  E’ soprattutto il momento in cui si manifesta in tutta la sua disperata potenza la sensazione e la nota paura di essere traditi. Vedere Dean ne La valle dell’Eden e rivedere la propria inquietudine…
E’ vero. Scorsese è probabilmente il più grande critico americano capitato dietro una macchina da presa. Ma il regista deve rivolgere lo sguardo prima di tutto dentro se stesso, come diceva Elia Kazan. Se questo è vero, allora Scorsese è ancora un regista. Nonostante tutto, nonostante le crisi, nonostante i film falliti. E’ un regista, perché abita il cinema come fosse una casa, in cui trovar pace
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