VENEZIA 67 – “Zelal”, di Marianne Khoury e Mustapha Hasnaoui (Orizzonti)
Le cronache di due manicomi del Cairo, dalle pareti mangiate dal degrado imperante, sondano temi scottanti per l’Egitto: la psichiatria e la pazzia. I pazienti che sono costretti a viverci sembrano non avere alternativa, non conoscono altra possibilità se non essere rinchiusi in un universo a sè stante, così lontano dalla quotidianità di un paese i cui problemi di diversità e integrazione vengono radunati in centri di igiene mentale
Le cronache di due manicomi del Cairo, dalle pareti mangiate dal degrado imperante, sondano temi scottanti per l’Egitto: la psichiatria e la pazzia. I pazienti che sono costretti a viverci sembrano non avere alternativa, non conoscono altra possibilità se non essere rinchiusi in un universo a sè stante, così lontano dalla quotidianità di un paese i cui problemi di diversità e integrazione vengono radunati in centri di igiene mentale. Ed i “matti” si adeguano, non perché siano realmente pazzi, ma perché non hanno altre alternative e sanno che non potrebbero mai vivere in quel mondo esterno che li ha respinti e ghettizzati. Il loro non è un percorso riabilitativo, questi centri non hanno come obiettivo quello del reinserimento del soggetto considerato malato nel “mondo civile”, ma sono strutture più simili a prigioni, a puro scopo contenitivo, come se dovessero proteggere la società reputata “sana” da individui che potrebbero contaminarla. Infatti non capita di rado che persone che vengono dimesse vi facciano ritorno, ancora una volta rifiutati dalla società.
Zelal sfonda il confine tra società sana e malata mostrando le vite degli emarginati sociali, lasciando che lo spettatore li possa incontrare da vicino, costringendolo a mettere in discussione convinzioni e preconcetti, dimostrando come sia effimera la libertà dove non viene tollerata la diversità.
Questa intolleranza non è quella di un piccolo gruppo sociale o solo di una parte della popolazione, è lo specchio di una nazione in crisi.