"Splice", di Vincenzo Natali

Splice di Vincenzo Natali
Come spesso accade nel cinema di Vincenzo Natali, a un'idea semplice e basilare – seppur buona – non corrisponde un adeguato sviluppo: Splice si muove all'interno di un territorio ricco di stimoli e suggestioni (sui corpi, sul ruolo dei sessi, sulle mutazioni) ma non ha mai il coraggio di andare sino in fondo. E così non riusciremo mai a specchiarci completamente dentro i bellissimi occhi di Dren, la creatura del film: lei ci guarda, affamata di amore e carne, ma è destinata a rimanere una figura lontana.
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Splice di Vincenzo NataliA questo punto verrebbe quasi voglia di catalogare un genere a parte, quello del cinema “dei corpi”: delle creature, mostri o meraviglie che siano (ma spesso, si sa, le due cose coincidono…), perché in fondo l’unica cosa che materialmente possiamo dire di possedere davvero è una sola, il nostro corpo appunto. Ed è per questo che quando il cinema utilizza questo involucro di pelle, questo contenitore dell’anima, per deformarlo e reinventarlo, non possiamo non specchiarci in esso:  anche a costo di rimanere delusi se, di fronte a una materia filmica potenzialmente ricchissima, ci ritroviamo a conti fatti con un risultato pavido, timido, inespresso. E a questa delusione Vincenzo Natali purtroppo è solito abituarci. Nel suo cinema il motore narrativo è sempre semplice e basilare: se in Cube (il suo primo e ad oggi miglior film) tutto ruotava intorno a un gruppo di personaggi intrappolati dentro una misteriosa e letale struttura, in Splice la trama è talmente breve e lineare che si potrebbe riassumere benissimo in poche parole; Adrian Brody e Sarah Polley (ottimi entrambi) sono due scienziati che, mescolando genoma umano a quello animale, creano furtivamente un ibrido (di nome Dren) che instaurerà con loro un rapporto ai limiti del morboso. Punto. Quello che quasi mai è riuscito finora a Natali è di saper costruire un lungometraggio strutturato e compiuto partendo da un’idea che al limite poteva essere buona per un corto: Splice accarezza e sfiora stimoli decisamente interessanti e affatto banali, annacquati però in una narrazione prolissa e poco efficace; comincia come un’opera di fantascienza sui pericoli della biogenetica, prosegue come un dramma sulla maternità e finisce – giustamente – in un horror a tinte forti. Ed è proprio la parte finale a convincere maggiormente, quando il racconto diventa nero come la pece e politicamente scorrettissimo: chissà cosa ne avrebbe pensato il primo Cronenberg, in mezzo a tante e tali aberrazioni, tra corpi che crescono, si trasformano, copulano e mettono le ali… Ma Natali non è Cronenberg, e al suo film manca sempre il coraggio di andare sino in fondo: se da un lato, parallelamente a un uso intelligente di effetti speciali tanto digitali quanto meccanici, è apprezzabile lo stile dimesso e sottotono (per buona parte tutto si svolge in interni), allo stesso tempo è innegabile la superficialità con la quale vengono sviluppati nodi narrativi tutt’altro che secondari, come la creazione di Dren in risposta al rifiuto di maternità della protagonista o, meglio ancora, il discorso solamente accennato sul ruolo dei sessi. Ma il peccato più grande di Natali è quello di non riuscire a fare del corpo della sua creatura il tessuto sul quale dipanare le emozioni: i suoi occhi, grandi e bellissimi, ci guardano con desiderio di affetto e carnalità, ma noi restiamo sempre troppo lontani per appassionarci (innamorarci…) veramente; e così, tra tempi morti (tanti, purtroppo), lungaggini e banalità, Splice rimane solo l’embrione di quella creatura che invece nel film riesce a volare davvero. Ma solo nel film, mai fuori.

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Titolo originale: id.
Regia: Vincenzo Natali

Interpreti: Adrien Brody, Sarah Polley, Delphine Chanèac, Abigail Chu

Distribuzione: Videa-CDE

Durata: 104’

Origine: Canada/Francia/USA, 2009

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