"Séraphine", di Martin Provost

Seraphine Martin ProvostArthur Schopenauer disse “il genio e la follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri”. Questo è Seraphine ed è tutto nello sguardo spiritato di Yolande Moreau, a ragione l’attrice più apprezzata  e in voga di Francia. Il film si regge sulla sua straordinaria interpretazione. Da una storia vera

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Senlis, Piccardia. Francia. Non troppo lontana da Parigi, ma distante secoli dalla luce accecante della Ville Lumiere. Lì, in una sontuosa tenuta di campagna, lavora Seraphine Louise. Una sguattera, completamente priva di educazione e dai modi un po’ bizzarri. Di giorno fatica, di notte dà spazio al suo estro. Cantando una litania religiosa, in quella mansarda buia e inospitale, si rifugia nel suo mondo. Sembra non importarle di altro. Anche l’ultima goccia di sudore è impiegata per guadagnare quei pochi spiccioli che le permettono di comprare la vernice per poter dipingere.
Arthur Schopenauer disse “il genio e la follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri”. Questo è Seraphine ed è tutto nello sguardo spiritato di Yolande Moreau, a ragione l’attrice più apprezzata  e in voga di Francia. Il film si regge sulla sua straordinaria interpretazione. Evanescente, ingenua, caparbia, vive in una realtà che sembra esistere solo nella sua testa. La capacità di arrangiarsi, di perseverare, perché l’unico modo di sentirsi viva, di dare un senso alla sua esistenza, è tutto racchiuso nella pittura. In quei colori creati dal nulla, dal fango di una pozzanghera, dal sangue di una gallina sgozzata, dalla cera sciolta di una candela in chiesa.
Forse, volutamente, la maggior parte dei personaggi e dei rapporti interpersonali sono poco caratterizzati, quasi fosse volontà del regista concentrarsi su altro. Ad eccezione della relazione d’amore platonico fra la protagonista e l’amico/mecenate Wilhelm Uhde (un ottimo Ulrich Tukur), comunque sempre velata e mai eccessivamente calcata. Martin Provost gioca piuttosto sull’emozione che scaturisce dall’ideazione e successivamente dal parto di un dipinto, il brivido della creatività. Un viaggio attraverso gli occhi di Seraphine, lassù, arrampicati sul ramo di quell’albero, assieme a lei.
Eppure il film è, a lunghi tratti, un po’ freddo.

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A partire dalla scelta cromatica di colori spesso autunnali. A far da contraltare, quasi il mondo fosse una figura sbiadita al di fuori della testa di Seraphine, le esplosioni visive dei quadri.  “Siete proprio sicura che la vostra mano è guidata dal vostro angelo custode?” chiede la madre superiora. 
Sì, perché quei dipinti raffiguranti vegetazioni che a tratti sembrano esotiche, spesso paiono rappresentare la flora di un inferno di follia. Persino attraverso il grande schermo non si può fare a meno di esserne rapiti, di rimanere scioccati. Persi nell’immagine, trascinati dentro.
Non è tanto il ritratto di una donna emancipata e forte, in un’epoca in cui il genere femminile era ancora assai lontano dall’avere pari diritti. Bensì il coraggio di essere libera da schemi mentali, da status sociali. Probabilmente senza volerlo, per naturale predisposizione. Perché non c’è scuola o insegnante che possa dar lezioni di talento. Ci si nasce, lo si coltiva, lo si asseconda. È il massimo che si può fare, anche a rischio di perdere la propria sanità mentale.

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 Titolo originale: id.

Regia: Martin Provost
Interpreti: Yolande Moreau, Ulrich Tukur, Anne Bennent, Genevieve Mnich, Nico Rogner, Adelaide Leroux
Distribuzione: One Movie
Durata: 125'
Origine: Francia, 2008

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