"We want sex", di Nigel Cole


Quello che Nigel Cole sembra avere imparato in confronto alla sua filmografia passata ha molto a che vedere con il concetto di “compostezza”, e lo porta a realizzare un esempio squisitamente didattico di cinema come servizio civile, inteso anche come obiezione di coscienza. In un modo o nell’altro, uno dei film più onesti dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.

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Il film di Nigel Cole è di un’ingenuità talmente beata e “pulita” che vien voglia di non provare nemmeno a sporcarlo con qualunque tentativo di opinione in merito. D’altra parte il meccanismo messo in moto dalle storie edificanti come questa è proprio quello di una calda sensazione di appagamento morale a cui non chiedere altro che una giustizia e una giustezza cinematografica.
Dunque il nuovo film “giusto” di Cole racconta una storia di rivalsa femminile che oggi sembra avere quasi un’urgenza maggiore non in patria ma da noi, a leggere della considerazione della donna nella società italiana come viene raccontata da un già citatissimo articolo della corrispondente Barbie Nadeau uscito su Newsweek come “Bunga Bunga Nation”.
La lotta delle operaie Ford di Dagenham nel 1968 per la parificazione dei salari tra uomini e donne impiegati nella fabbrica automobilistica, che portò ad un lunghissimo sciopero e una vera e propria crisi economica in casa Ford, costringendo il Ministro Barbara Castle ad occuparsi personalmente della vicenda incontrando le lavoratrici, è un racconto che pare già irresistibilmente avvincente e condivisibile senza l’impegno di un cast azzeccato, che invece Cole può permettersi e sfruttare appieno:  Bob Hoskins impagabile, Miranda Richardson, Rosamund Pilke… su tutto e tutti la Sally Hawkins di Happy Go Lucky, prevedibilmente bravissima, attrice capace di instaurare istantaneamente un feeling potentissimo con spettatori e macchina da presa.
Quello che Nigel Cole sembra avere imparato in confronto alla sua filmografia passata, e che decisamente mancava ne L’erba di Grace o in Calendar Girls, ha molto a che vedere con il concetto di “compostezza” (si veda la sequenza del suicidio del marito di una delle operaie del film, tornato traumatizzato dalla guerra, o il litigio in mezzo alla strada tra la protagonista e il marito che non riesce più a capirne la foga contestataria), e lo porta a mettere in scena il proprio lavoro sulle fonti facendo scorrere sui titoli di coda le interviste realizzate e filmate alle reali operaie che misero in atto la protesta nel ’68, tutte gagliardissime e fiere.
In alcuni momenti di mobilitazione musicale con trattamento vintage della grana dell’immagine, il film lambisce alla lontana le atmosfere irrefrenabili dello strepitoso I love Radio Rock, senza ovviamente bissarne la totale partecipazione sensoriale che Curtis portava invece puntualmente a casa.
Resta un esempio squisitamente didattico di cinema come servizio civile, inteso anche come obiezione di coscienza. In un modo o nell’altro, uno dei film più onesti dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
 

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Titolo originale: Made in Dagenham
Regia: Nigel Cole
Interpreti: Sally Hawkins, Bob Hoskins, Rosamund Pike, Miranda Richardson, Geraldine James
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 113'
Origine: UK, 2010

 

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