"La Banda dei Babbi Natale", di Paolo Genovese


A due anni di distanza dallo sfortunato Il cosmo sul comò, torna nelle sale la faccia più sofisticata del cinepanettone italiano: quella targata Aldo, Giovanni e Giacomo. Siamo dalle parti di una solida e divertente favola natalizia, confezionata per mezzo di familiari echi classici che ammiccano vagamente al magico di Frank Capra. Ma, ancora una volta, l’anima più "anarchica" ed irriverente del trio viene anestetizzata da una struttura filmica fin troppo geometrica

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Aldo Giovanni e Giacomo ne La Banda dei Babbi Natale

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A due anni di distanza dallo sfortunato Il cosmo sul comò – «due anni di attente riflessioni su noi stessi e sul nostro futuro artistico» come dichiarato pubblicamente dai protagonisti – torna nelle sale la faccia più sofisticata del cinepanettone: quella targata Aldo, Giovanni e Giacomo. La comicità dell’ormai “istituzionale” trio comico italiano compie sempre una strana mutazione quando viene trasportata al cinema: da una dicotomia teatrale basata sul continuo movimento dei corpi nello spazio associato alla mimica facciale (pensiamo agli indimenticabili Bulgari), approda sul grande schermo ad una espressività troppo schiacciata sulla staticità della "parola" e anestetizzata per mezzo di trame strutturatissime. E questo ha spesso significato una sorta di snaturamento della loro anima più vera, ossia quella di una comicità non sense virata verso il surreale: comicità che resisteva ancora nel loro bel debutto cinematografico Tre uomini e una gamba. Sette film dopo, in quest’ultimo La Banda dei Babbi Natale, questa tendenza galoppante si conferma in pieno: siamo appunto dalle parti di una solida favola natalizia, confezionata per mezzo di familiari echi classici, che ammiccano vagamente al magico di Frank Capra. Una favola dove i destini dei tre amici –  ribattezzatisi  “i charlatans” – Aldo (un disoccupato scommettitore incallito e mantenuto dalla eccentrica convivente), Giovanni (un veterinario “casanova” che colleziona matrimoni e suoceri che lo odiano) e Giacomo (un medico vedovo che vive tra il ricordo della moglie e la possibilità di un nuovo amore) si intrecciano in un commissariato di polizia nella notte di Natale del 2010. L’accusa è quella di essere una famosa banda di ladri d’appartamento, i Babbi Natale appunto.

Rimasti orfani del loro storico regista Massimo Venier (e passati per la incerta parentesi del Cosmo con Marcello Cesena) i tre comici si affidano qui al più fresco occhio registico del giovane Paolo Genovese. Ma, di fatto, il loro universo filmico di riferimento rimane intatto: in primis costellato da continui rimandi ad un cinema ultrapopolare – qui citati letteralmente Il Grande Lebowski, L’uomo che sussurrava ai cavalli e una esilarante intrusione nel mondo di Matrix da parte di un improbabile Aldo/Neo – e puntellato dalla già sperimentata struttura ad incastro, che in questo caso rimanda scopertamente ai paradossi temporali de Le Iene tarantiniane. Insomma, la fastidiosa patinatura televisiva che puntualmente innerva il tessuto filmico di tanti altri cinepanettoni, qui viene meritoriamente espunta: classic(heggiane) o meno, efficace o meno, è sempre il linguaggio del cinema ad essere l’unico vero referente. E persino un personaggio così televisivamente marcato come Mara Maionchi viene ben assorbita, risultando molto credibile nei panni della suocera/strega. Il film, quindi, riesce innegabilmente a costruire una piacevole e divertente atmosfera infantile, raccontata in una Milano da “fiaba”, dove addirittura il commissario di polizia (Angela Finocchiaro) assume le sembianze di una mamma benevola che si prende cura di tre sfortunati figli pasticcioni. Ecco che in un mondo dove «siamo diventati sinapsi in un cervello che muore» per citare lo scatenato monologo finale di Aldo, il cinema del trio si rivela ancora una volta come una tradizionale "certezza": tutto è geometricamente orchestrato e tutto coglie garbatamente nel segno. Peccato però che la nostalgia per quella comicità più "anarchica" ed irreverente degli Aldo, Giovanni e Giacomo prima maniera (che qui fa appena capolino in rarissimi sprazzi) si continui ad avvertire come un amaro retrogusto.

  

Regia: Paolo Genovese

Interpreti: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Angela Finocchiaro, Giovanni Esposito, Lucia Ocone, Mara Maionchi, Giorgio Colangeli, Antonia Liskova

Distribuzione: Medusa

Durata: 100'

Origine: Italia, 2010 

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