“Un altro mondo”, di Silvio Muccino

un altro mondo
Siamo in presenza di uno psicodramma familiare a cielo aperto: non solo quello del protagonista (padre assente, madre insensibile, un fratellastro nero da crescere come un figlio), ma soprattutto quello che sembra giocarsi tra i fratelli Muccino nello spazio del fare cinema. E se Un altro mondo fosse la risposta di Silvio alla Ricerca della felicità di Gabriele? Del resto lo sappiamo: il cinema in Italia è una questione di famiglia…

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Sarà pure una sovrastruttura, ma proprio non si riesce a rimuoverla: ci si riferisce alla netta impressione di essere in presenza di uno psicodramma familiare a cielo aperto. Non ci si riferisce tanto a quello del protagonista di Un altro mondo, al suo processo di ricostruzione esistenziale a partire dalle macerie di un padre perso in infanzia e di una madre insensibile, quanto allo psicodramma che sembra giocarsi tra i fratelli Muccino nello spazio del fare cinema. Lo diciamo con tutto il rispetto umano che la faccenda merita, ma proprio non si riesce a eludere l'argomento. La rivalità tra i due fratelli, del resto, è fatto noto e ad essa si aggiungono le recenti dichiarazioni via stampa di Gabriele, che lamenta il rapporto interrotto di Silvio con lui e con i genitori… D'accordo che storicamente il Cinema in Italia è una questione di famiglia(e), ma la cosa, va detto, mette un po' in imbarazzo, perché sbatte in pubblico una dimensione personale, intima, psicologica del fare cinema che, soprattutto ai livelli produttivi per così dire “industriali” in cui si muovono i Muccino, si immagina fuori gioco… Tanto che viene voglia di approfondire l'argomento e metterci le mani dentro per capirci qualcosa in più, per elaborare il livello di protagonismo che i Muccino pongono consapevolmente in gioco nel loro cinematografare se stessi, sin dai tempi di Come te nessuno mai. Scrivere/far scrivere, dirigere/far dirigere, interpretare/far interpretare, in un rimpallo continuo tra prima e terza persona singolare che scompone la soggettività nella narrazione più impersonale e scaltra che si possa concepire, non a caso subito captata dalla macchina hollywoodiana da quella italiana più scaltra e griffata… È come se questi due fratelli di cinema cercassero il modo di essere autori dei loro film non in senso filmico, ma in senso fisico/biografico, qualcosa che per esempio aveva spinto Gabriele a mettere in circolazione foto di scena di Baciami ancora con lui a ridosso dei suoi interpreti, intento a dirigerli, e che spinge Silvio a una elaborazione pubblica del suo processo di crescita, evoluzione, affrancamento dai suoi legami…

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Si prenda, per esempio, Un altro mondo: sin dal trailer si ha la netta impressione che in qualche modo possa essere inteso come la risposta di Silvio Muccino a La ricerca della felicità del fratello, sull'asse Nuovo/Terzo/Altro mondo: Gabriele va in America e raggiunge il successo raccontando la storia di un uomo e di suo figlio alle prese con la ricostruzione della loro vita? Silvio va in Africa e torna con un fratellastro di otto anni (anche questo di pelle nera) da accudire e crescere come un figlio, mentre ridefinisce i suoi valori e i suoi orizzonti esistenziali. Guardate l'apparato iconografico dei due film (dal poster in giù) e vi ritroverete la medesima impostazione: stessa luce, stesse pose, stessi valori figurativi, stessi equilibri compositivi… L'unica differenza è che se Gabriele lavora per estroflessione, Silvio cerca disperatamente di incarnare il dramma, di possederlo, di riappropriarsene. Gabriele fa un cinema plasmato fuori, mentre Silvio forgia dentro. Questo non significa che l'uno sia più sincero dell'altro: sono entrambi tragicamente farlocchi nel loro prontuario tematico tanto quanto nel loro campionario visivo; entrambi impastano grossolanamente luoghi comuni di un immaginario sentimental-generazionale da manuale per consultori familiari (d'area cattolica con pentimenti progressisti…). Un altro mondo, per esempio, inanella genitori assenti (o presenti solo in virtù di “paghetta”), figli privi di modelli di riferimento, edonismi giovanili con stridori coscienziali, languori terzomondisti da brochure paramissionaria (di quelle con il bollettino postale allegato). Il livello di approfondimento nella rappresentazione del dramma è da prime time televisivo, il progressismo sociale non supera la barriera corallina del veltronismo, l'atteggiamento dello scandaglio psicologico è prono su una visione della realtà che non conosce altra realtà da quella di un mondo che scambia l'insoddisfazione da sazietà per autentico dramma umano e psicologico. Quanto al livello della messa in scena, anche Silvio, come Gabriele, scambia la fragranza per flagranza, ovvero pensa che il profumo del cinema sia il cinema in sé, la sua verità estetica, il suo autentico fare il gioco della vita… Ma almeno Silvio ha una agilità e una ingenuità che gli garantiscono un approccio drammaturgicamente meno ipertrofico e figurativamente più onesto, non foss'altro che manca di ansie e affanni e incarna in sé stesso, nel suo essere in scena in prima persona, l'esibizionismo patologico del cinema di Gabriele.

Regia: Silvio Muccino
Interpreti: Silvio Muccino, Michael Rainey Jr., Greta Scacchi, Maya Sansa, Flavio Parenti, Isabella Ragonese

Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 90'

Origine: Italia,Gran Bretagna 2010
 

 

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    Un commento

    • grazie per aver dipinto con tanta precisione i motivi di fastidio epidermico che colgono l'innocente spettatore anche alla sola visione del trailer: "entrambi impastano grossolanamente luoghi comuni di un immaginario sentimental-generazionale da manuale per consultori familiari (d'area cattolica con pentimenti progressisti…). Un altro mondo, per esempio, inanella genitori assenti (o presenti solo in virtù di “paghetta”), figli privi di modelli di riferimento, edonismi giovanili con stridori coscienziali, languori terzomondisti da brochure paramissionaria (di quelle con il bollettino postale allegato)"