“TRON Legacy”, di Joseph Kosinski

TRON LEGACYI cervelloni di Lost Horowitz e Kitsis strizzano più d’un occhio (già filtrato dall’occhialetto 3D) nello script, ma il trasferimento di dati risulta troppo lento da una banda larga decisamente intasata: era forse il caso di giocare un po’ di più con l’aspetto fortemente kitsch e di pop-modernariato che l’immaginario di Tron si porta addosso. Il risultato è distante sia dall'ugualmente fluorescente Speed Racer che dal trattato magno dell'amico/collega JJ Abrams, Star Trek

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tron legacyIl confronto tra Flynn/Jeff Bridges ai giorni nostri, e Clu/Jeff Bridges perfettamente replicato dal primo Tron grazie alla performance capture, non è solo uno dei tanti riferimenti messianico-religiosi (il figlio “a immagine e somiglianza” del creatore/creativo) di cui è infarcito lo script del duo di cervelloni di Lost Adam Horowitz e Edward Kitsis, tra dischi-aureola che campeggiano sulle spalle dei personaggi e stragi, esodi e diaspore biblici.
E’ soprattutto il confronto tra il Jeff Bridges oramai fortemente iconografizzato di oggi (barba bianca, aspetto da santone zen), post-Oscar per Crazy Heart, e il giovane Bridges che nel 1982 si trovava precisamente a metà strada tra Cimino e Starman. Quella faccia ancora liscia e ingenua testimonia di un periodo di grossa fede progressista nella macchina e nelle sue capacità – questo volto corrucciato e incanutito racconta di uno pseudo-Richard Stallman confinato dentro un hard disk perché voleva distribuire gratuitamente i suoi software open source. La macchina ambisce talmente alla perfezione da sterminare le prime forme di vita umana generate digitalmente – umane e dunque imperfette: ne resta viva solo una, Quorre, che Flynn e figlio nascondono e difendono dalle malvagie forze binarie.
Horowitz e Kitsis strizzano più d’un occhio (già filtrato dall’occhialetto 3D), come si vede, ma procedono con il timore costante di tenere lontano Lucas (la prima battuta di Clu al giovane protagonista è “Sam, io NON sono tuo padre”; il manubrio per la moto digitale sembra quello di una spada laser ma “non si usa in quel modo”), e così restano altrettanto distanti dal trattato magno dell’amico/collega JJ Abrams, Star Trek (va comunque dato loro atto di aver escogitato innesti più interessanti di quelli di Nolan).
L’errore principale, che appunto Abrams, Kurzman e Orci al contrario non facevano, è quello di ri / visitare ad ogni costo: Kosinski e il suo operatore Claudio Miranda (lo stesso di Benjamin Button, attento e reattivo ma non certo David Tattersall, sia in senso lucasiano che pensando all’ugualmente fluorescente Speed Racer) piazzano le versioni 2.0 sia del gioco dei dischi che di quello con le moto, che erano il piatto forte del film di Lisberger, nella prima parte della vicenda, per poi assestarsi sugli appesantiti binari di un lentissimo trasferimento di dati con banda larga decisamente intasata (rispunta fuori anche il raggio di energia trasportatore su cui si concludeva il primo Tron).
Prima di omaggiare anche Blade Runner con l’alba tra i boschi finale (per inciso resta solo da immaginare cosa avrebbe invece realizzato uno come Ridley Scott di questo script), era forse il caso di giocare un po’ di più con l’aspetto fortemente kitsch e di pop-modernariato che l’immaginario di Tron si porta addosso: lo fanno solo, e in maniera divertente, i Daft Punk con una colonna sonora tutta bip e squilli di pc. Non è un caso se l’unica sequenza che davvero funziona è quella, decisamente alla Total Recall, nel night club di uno scatenatissimo Michael Sheen in versione steampunk, in cui gli scontri tra le fazioni contendenti sono scanditi dalla musica dance che i due dj, nel ruolo mascherato di se stessi, selezionano e mixano dal vivo nel locale seguendo gli scontri.

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Regia: Joseph Kosinski
Interpreti: Jeff Bridges, Garrett Hedlund, Olivia Wilde, Michael Sheen, Bruce Boxleitner
Distribuzione: Walt Disney
Durata: 127'

Origine: USA, 2010
 

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